[È venerdì] La motivazione non è l'unico motivo all'acquisto
E perché Shein e Temu, loro malgrado, possono insegnarci ad aumentare le vendite dei prodotti "sostenibili"
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Cominciamo.
Lo vogliamo dire? Google Analytics 4 è una ca..ta pazzesca.
Aggiornamenti dalla dieta: ho istruito ben bene una chat di ChatGPT, che ora mi dice se un certo piatto è compliant o no, e volendo mi suggerisce una colazione o un pranzo ammesso, e mi dà anche la ricetta per farlo (ricetta che sono comunque troppo pigro per seguire).
TW: i tornei di tennis guadagnano (e quelli di calcio no) perché i giocatori e le giocatrici sono solo due (il doppio è solo una tradizione).
Il quiz della settimana:
Qual è stata la quota di mercato, nel fast fashion, di Shein negli USA nel 2021?
a) 28% b) 20% c) 11%
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Tra il dire e il fare è complicato
Cosa possono imparare i marketer dal miglioramento delle vendite di Hellmann (ndr maionese e c.) da quando ha iniziato a utilizzare il suo marketing per parlare di affrontare lo spreco alimentare: i consumatori si preoccupano davvero della purpose e dell'ambiente.
Cosa possono imparare i marketer dal continuo successo del fast-fashion Shein: i consumatori non si preoccupano davvero della purpose o dell'ambiente.
(report Most Contagious 2022)
Per me è l’ossimoro chiave dei nostri tempi: perché, in un momento in cui le ricerche ci dicono concordemente che la questione ambientale è rilevante nella mente delle persone, poi questi sommovimenti non si notano nelle statistiche di vendita? Perché Shein, ma anche Temu, ma anche Zara, non sembrano subire nessun effetto? (Qui un link se non siete al corrente di cosa fanno Shein e Temu.)
In generale, quando non mi spiego qualcosa faccio un ritorno alle basi.
Il primo passo si riassume con il mio mantra che recita di solito la media è una statistica sopravvalutata. Molto spesso non ci dice davvero le cause chiave. In questo caso, chi compra molto fashion influisce sulle vendite più di chi ne compra poco, ma vale sempre uno nei sondaggi sul valore della sostenibilità. Ci potrebbe essere dunque un problema di base statistica non “ponderata”. Questo potrebbe spiegare fenomeni contrastanti: chi compra Shein compra molto, chi compra Vinted (posto che possa essere incluso nell’area “sostenibile”) compra molto. Il resto è un “voto di opinione”, che non muove però i fatturati. In azienda, come marketer, dobbiamo stare sempre molto attenti al voto di opinione: quelli non sono votanti col portafoglio, che è quello che conta davvero.
Un altro passo indietro è “attenzione alle categorie facili ma artificiali”. Sono categorie artificiali quasi tutte le demografiche del marketing: nazionalità, genere, l’età, e questa forse più di tutte. Dire che “i giovani sono più sensibili alle tematiche di sostenibilità” potrebbe pure non essere vero, almeno in assoluto. Alcune ricerche lo mettono addirittura in dubbio. Se ci rifacciamo al fast fashion online, in cui il pubblico è sicuramente giovane, sembrerebbe chiaro: “A questi non gliene frega niente”, il boomer direbbe subito. Ma probabilmente stiamo dimenticando un’altra variabile più importante, che è spesso subordinata alla giovinezza: la mancanza di mezzi. È probabile che ci sia una correlazione inversa tra ricchezza e Shein, almeno parzialmente. Non comprano bio non perché non sono a favore del bio: è che devono fare delle scelte, le persone.
Naturalmente il fattore reddito non spiega tutto sempre, in un senso o nell’altro: i SUV davanti alla Aldi sono sempre lì a ricordarmelo. Questo è il terzo passo indietro: Le persone guardano più all’immediata gratificazione, al momento dell’acquisto, che ai destini dell’universo. È molto umano, e non sarà mai diverso. In quel momento, la dissonanza cognitiva che è in ognuno di noi, salvo gli irriducibili del sostenibile a ogni costo (pochi per definizione), viene superata, facendoci promettere che è solo per questa volta, ecc. ecc.
L’utilità di transazione (il prezzo più basso, l’affare) batte l’utilità di possesso, (che valore traggo dal bene) che a sua volta batte l’utilità di sostenibilità (cosa traggo dal futuro). Prevenire è meglio che curare: non l’ha scritto sicuramente un marketer, che sa che è più remunerativo il contrario. Non è un caso se la sanità privata si concentra sulla cura e non sulla prevenzione. La prevenzione è razionale, ma lontana nel tempo e difficilmente visualizzabile. La cura è necessaria, ora.
La sostenibilità non correlata a un’immagine visualizzabile, reale, acquisto per acquisto, è come “smetti di fumare, vivrai una settimana in più e in quella settimana pioverà tutti i giorni” (ovvia semicitazione di Woody Allen). Ma è difficile. Non basta quella pappetta di spot generalisti sulla purpose che da anni viene propinata.
Più in generale tendiamo, nell’analisi di acquisto, a dare troppa importanza alla motivazione (quella è l’unica sondata dai sondaggi di opinione sulla sostenibilità degli acquisti) come causa dei nostri acquisti (sostenibili o meno), il che si riflette anche nel ruolo, per esempio, che diamo alla pubblicità “motivazionale”. La motivazione all’acquisto è solo uno dei possibili facilitatori alla transazione. Molto spesso sono più rilevanti conoscenza dell’alternativa, pressione sociale, accessibilità, facilità di acquisto.
È qui che si gioca il punto decisivo, secondo me. Se vogliamo che gli acquisti non siano su Shein (perdonami Shein, magari non sei nemmeno il più “cattivo”, ma sei sicuramente il più bravo) dobbiamo fare in modo che non sia la motivazione a fare la differenza, per quanto questo sia controintuitivo.
Dobbiamo analizzare la pressione sociale, che è quello che spesso ci induce ad acquistare. Se devo avere per forza un vestito diverso e ho risorse limitate, devo per forza rivolgermi a Shein & C. Anche la pressione sociale è profondamente umana. Ma chi l’ha incentivata? Non solo il fast fashion, ma il fashion in generale, e i suoi supereroi, gli/le influencer, quelli davvero poco “choosy” nel decidere se un prodotto fast vada o no promosso. Un antico liberale come me fa sempre fatica a dare la colpa alla società, ma qui i suoi effetti sono innegabili, soprattutto su di un target (“i giovani”) che – in media – è molto più legato all’accettazione del gruppo. E si può allargare il discorso al cibo: le mele ammaccate sono inaccettabili, perché ci hanno abituato così.
Probabilmente possiamo fare poco con il prezzo e contro l’utilità di transazione, perché la sostenibilità da qualche parte si paga sempre, e la pashmina tibetana rispettosa dell’ambiente e delle persone costerà sempre di più di quella prodotta in uno sweatshop in Bangladesh. Anche se si ha spesso l’impressione che le aziende vogliano far pagare questo costo solo ai consumatori, al di là delle favolette del greenwashing. O addirittura di usarlo per aumentare i margini lordi.
Però possiamo agire sull’abitudine, che nasce dall’accessibilità (mentale, online e fisica), che nasce dalla facilità di uso, che nasce dalla personalizzazione, che nasce dal dato. Anche su questo, il capitalismo non gioca finora a favore: Shein e Temu sono – sia pure con quell’esagerazione un po’ kitsch un po’ naif così asiatic-internet – benchmark di come usare il nudge, la personalizzazione 1 to 1 (dall’email marketing alle push-notification e perfino nella navigazione in app), la facilità d’uso in ogni momento del processo di acquisto, l’uso sapiente del FOMO, il tutto facilitato da quel pensare app-nativo così distante dalla mentalità dell’industria digital-creativa occidentale e invece sempre più abbracciato dal pubblico, e non solo dalla Gen Z. Naturalmente, per chi hai milioni di euro è più facile fare UX rispetto al piccolo produttore di sneaker vegane. Però ancora oggi l’acquisto diverso si traduce spesso in una sofferenza inutile. Perché i brand “puri e sostenibili” pensano di essere così diversi da non dovere sottostare alle logiche del marketing, quello delle basi. Ma è un’illusione pericolosa.
3 link della settimana
Le arance, il Sudafrica, una farfallina, la Spagna, i supermercati olandesi: le complesse connessioni della globalizzazione (e di cosa “sia giusto”).
Perché il prompt engineer potrebbe non essere il lavoro del futuro.
Niente che non, ma interessante (e penso che lo userò per il corso di digital a IULM 2023) 15 AI Prompts to Supercharge Sales & Marketing Teams.
That’s all folks!
Grazie di aver letto fin qua. Grazie di nuovo a Kampaay per il supporto.
Per commenti, dubbi aziendali o sponsorizzazioni di questa newsletter basta rispondere a questa mail – e sì, rispondo a tutte le mail.
PS: tra fine luglio e agosto probabilmente farò come ogni anno la newsletter in versione balneare. Garanzia di apertura al 40%: se vuoi comunicare a prezzi ottimi ai marketer in vacanza, e quindi rilassati e ricettivi, direttamente sotto l’ombrellone, scrivimi.
ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza (eventuali typo sono miei, aggiunti dopo) e a Cristina Portolano per i (nuovi!) separatori d’artista.
Quiz: a). Shein rappresenta il 28% delle vendite di fast fashion negli Stati Uniti, superando H&M (20%), Zara (11%), Forever 21 (10%) e Fashion Nova (8%) (fonte).