[È venerdì] Il trade marketing digitale, questo sconosciuto
Cosa c'è nel futuro dopo il grossista?
Chissà se anche nel metaverso fa caldo come in pianura? E se no, in un luogo in cui non c’è meteo (o almeno sofferenza dovuta a) di cosa si parla per fare due chiacchiere?
In ogni caso, alla tastiera fa caldo, e quindi seguono riflessioni veloci sul trade marketing nell’era digitale: mi sono state suggerite nell’osservare, dal mio ritorno da Ricc1one della scorsa settimana, quante piste da kart e modellismo ci siano in Emilia-Romagna. Cosa c’entra, direte voi. Eh, c’entra. Perché chi scrive è stato suo malgrado coinvolto, in un’era più analogica, in quelle tragiche e fantozziane riunioni forza vendita esterna, in cui si creava engagement tra i rivenditori facendoli divertire sopra a kart sotto un sole infernale vicino a paludi nei pressi della statale Adriatica.
Se volete, la storia integrale ve la racconto in un’altra newsletter del ciclo estivo (avete letto le Summer Friday dell’anno scorso e di quello prima? A qualcuno piacciono più di quelle normali).
Ma prima ho chiesto a SAS come si realizza la tanto decantata orchestrazione dei messaggi nell’epoca dell’omnicanalità.
Rubrica in partnership con
Come orchestrare i messaggi lungo il customer journey?
Parliamo di orchestrazione dei messaggi: oggi i brand hanno svariate piattaforme su cui comunicare, dai social alle push notification, dal sito agli SMS. Quali sono gli step e le tecnologie per assicurarsi che ci sia congruità, armonia, rilevanza per non oberare di messaggi il cliente?
La necessaria flessibilità nei mezzi usati per coinvolgere clienti e prospect lungo il purchase path è connaturata all’omnicanalità attuale dei consumatori: attiriamo con l’advertising online per raccogliere traffico sul nostro sito, poi inviamo email agli utenti che si sono registrati per tenerli “nel loop”, poi ancora adottiamo strategie di retargeting per ricordare a chi ha abbandonato il carrello (o la form) che c’è un affare che lo aspetta. Questo è solo un esempio sintetico, non di rado a queste azioni si sommano campagne via sms, via social, via push notification su app mobile e anche con il tradizionale ma spesso efficace call center.
Una tale scelta di canali e opportunità è per il marketing il migliore dei mondi possibili, ma che comporta necessariamente l’ottimizzazione dei canali, detto in gergo: orchestrare dei journey che funzionino. Dobbiamo affrontare due questioni, una interna, l’altra dal punto di vista dell’utente.
La prima richiede che lo staff del marketing possa coordinare i canali e i messaggi senza dover saltare da un’applicazione all’altra e senza dover rincorrere i dati sparsi tra sistemi diversi. Ciò è possibile solo gestendo i canali e i dati da una piattaforma unica. In pratica, un sistema unificato che sollevi il marketer e l’IT dalla necessità di aggregare i dati e permetta di attivarli per realizzare con semplicità dei customer journey personalizzati.
La seconda questione da affrontare riguarda la rilevanza, la coerenza e la frequenza dei messaggi.
Un giusto equilibrio è raggiungibile evitando di inserire i clienti in journey multipli: dobbiamo farci aiutare nella decisione dalla nostra dashboard centralizzata sulla quale “far girare” gli analytics per identificare quali dei journey disponibili offrano le migliori possibilità di raggiungere i nostri obiettivi di business (per esempio, upsell, riacquisto, ecc.) per un particolare segmento target o addirittura one-to-one. La scelta dei journey non sarà statica, ma si aggiornerà via via in base ai dati che acquisiamo e a come i clienti rispondono nel tempo. Ogni cliente sarà inserito solo nei journey più rilevanti per lui, limitando la frequenza e aumentando la rilevanza, e in quelli con una probabilità di conversione più alta per il brand.
È inoltre consigliabile prevedere la possibilità di reindirizzare dinamicamente un cliente da un percorso all’altro se necessario – ovvero se i dati ci indicano che è più interessante per lui (e più vantaggioso per noi) inserirlo in un customer journey differente.
Scarica il Manifesto del CMO Data Driven realizzato in collaborazione con SAS per scoprire i dieci punti che contraddistinguono il marketing odierno.
Chi produce non sa vendere, chi vende ecc.
Il problema principale della vendita online non è la tecnologia, ovviamente, non è nemmeno l’advertising (anche se tutti usano le stesse tattiche con ovvi effetti neutralizzanti, salvo per il conto economico di Meta e Google). Quello che manca è il saper vendere, digitalmente. O saper far vendere, ai tuoi rivenditori.
La maggior parte delle aziende o produceva o rivendeva, nell’epoca analogica. Le rare intersezioni erano la grande distribuzione con i prodotti a marchio e qualche franchising. Le filiere non erano liquide, erano piuttosto ingessate e immutabili.
Oggi è il caos, gentilmente offerto dal digitale. Chi produceva (prendiamo un produttore di grappa come esempio) si è lanciato, trascinato dal Covid o dall’invidia del competitor, e spesso senza saperlo fare, direttamente nella vendita online, con risultati che lo deludono, spesso, anche se non sa come valutarli, o forse proprio per questo. In preda all’ansia da digitale si è dimenticato che il proprio successo era stato dovuto fino a quel momento alla bravura nel trovare e gestire il canale (cioè i distributori) che consentiva di essere presenti, attraverso i clienti dei clienti (i baristi) dove avviene il momento di consumo, nell’essere suggeriti da chi aveva il contatto finale con il consumatore. Gli Amari dei Capi sono stati costruiti a tenaglia – e lo saranno sempre: bombardamento TV e digital B2C dall’alto e lavoro sporco alle caviglie della distribuzione.
Attenzione, il mio punto è che nel Direct-to-Consumer ci sono tante opportunità, ma mai tutte: buttare il bambino trade con l’acqua sporca non è mai una buona soluzione. Dopo una prima fase in cui non si faceva ecommerce per non pestare i piedi “al trade” ora si ignora che il trade non morirà mai, ma si trasformerà. Intere filiere distributive si stanno rattrappendo e accorciando sotto l’influsso dell’unbundling digitale: i clienti del produttore di grappa, cioè gli onusti grossisti, stanno cercando di capire che ruolo avere in futuro, quando il puro compito di logistica e distribuzione potrebbe non essere più sufficiente, e il monopolio geografico locale solo una foglia di fico. Alcuni mollano, altri cercano di andare al B2C (digitale e retail, come Bernabei), altri cercano di diventare più grossi per fare più volumi e compensare così margini ridotti.
La confusione è grande, fuori dai grandi convegni sull’e-commerce e nei poli industriali e artigianali. Vendere al consumatore è complicato, perché chi distribuisce grappa sa vendere ai baristi. Per i brand vendere al consumatore è complicato, perché loro sanno vendere solo ai grossisti. Ma quando i baristi acquistano sui marketplace, lì chi ci deve stare, il brand o il grossista? E chi deve essere l’accesso prioritario ai consumatori che vogliono sempre di più avere una scelta e un servizio rapido che il mondo fisico delle enoteche gli nega? È quella che Scott Galloway chiama “la grande dispersione digitale”: di rendite di posizione, di filiere, di abitudini di acquisto. L’ecommerce B2C è solo una piccola parte di questa dispersione. C’è il solito iceberg di vecchiume analogico sotto: quello che nessuno considera mai.
Al tempo stesso, i brand digitali nati dai social sono andati a monte nella filiera a farsi fare la grappa hipster (esisterà di sicuro, non googlo): tanto il loro punto di forza è la relazione finale diretta. Il produttore di grappa è rimasto spiazzato: chi sono questi? Perché sono più famosi del mio storico marchio ecc. ecc.? È che il suo trade marketing era vecchio, obsoleto, rivolto ancora al target degli stessi visitatori da fiera di dieci anni fa, e non si è accorto di nulla.
Il digital trade marketing è una disciplina ancora quasi vergine in Italia: manca un ruolo che all’interno dell’azienda abbia visione e intuizione sull’evoluzione dei canali digitali (e no) e gestisca differenti modalità di accesso al prodotto (non sarete Nike, che punta a vendere quasi solo D2C nel 2030, le terze parti online esisteranno sempre). (Specularmente, chi è rivenditore deve capire che tipo di aggregatore deve diventare, nel mondo digitale, rivolto a quali consumatori).
Per continuare l’esempio: un digital trade marketing manager capirebbe come vendere le grappe premium/limited/special box D2C, interagendo con i superfan, lavorando sul loro customer lifetime value, anche con l’aiuto ovviamente di specialisti e agenzie. Ma deve capire anche come (a quali costi, margini, trade off di visibilità, ecc.) essere sul sito per amanti delle grappe o tutti gli altri innumerevoli aggregatori che si specializzano per momento d’uso e lifestyle, come essere nello speed delivery di Gorillas e c., come far acquistare i baristi (o altri medio-piccoli siti, gli epigoni dei grossisti) direttamente sulle proprie interfacce online riservate o su marketplace B2B comprimendo i costi di vendita, tenere un occhio a nuove forme di distribuzione e pubblicità come Nio Cocktails, e inserire i prodotti a volume nei marketplace B2C o nella GDO online.
In più, oggi serve curare i contenuti per tutti questi touchpoint digitali, anche non proprietari, ottimizzando e monitorando un customer journey online che in buona parte non è in nostro controllo diretto. È la differenza per cui serve un upgrade del trade marketing: prima – all’incirca – bastava essere su di un giornale B2B, preparare gli sconti quantità, fiera e un flyer, oggi serve preparare uno stream continuo di contenuti (video, foto, testi, ecc.) non solo per il nostro sito ma per tutto il trade digitale.
Il trade marketing del futuro sa che deve lasciare necessariamente al compratore la scelta di dove comprare, ma sempre con la coerenza di brand necessaria a essere posizionati e distinguibili. E quindi ottenere la massima distribuzione possibile sul mercato online perché, si sa, se non ci sei non ti comprano. Ma se ci sei, al peggio, ti vedono.
Il quiz della settimana
Qual è la percentuale di old millennial che ha comprato superalcolici online nel 2021?
a) 5% b) 15% c) 20%
Appuntamenti e link
Vi ricordo sommessamente il Master Digital Update per Digital Strategist. C’è un ulteriore 10% di sconto per chi legge la newsletter, parola d’ordine ovviamente VENERDÌ. Parlane a chi sai tu in azienda.
La ricerca di Vincos sullo scenario martech italiano.
Il metodo per fissare i prezzi chiamato Price Sensitive Meter, di Peter Van Westendorp.
Il “metodo” ABCD di YouTube per i video (grazie Paola D’Arcangelo).
Negozianti Sacri(leghi)
Un ritrovamento nel rullino che merita la ripubblicazione.
That’s all folks!
Anche per questa settimana è tutto. Se vuoi segui le mie storie post-capitaliste su Instagram. E inoltra questa mail al trade!
ciao!
gluca
Quiz: c) (fonte Nomisma)
Grazie alla professionale correzione bozze di Daniela.