[È venerdì] I primi 30 giorni del direttore marketing
Dalla guerriglia al CEO, la lista di sopravvivenza che nessuno vi ha mai insegnato a scuola.
Anche in questa puntata ospiterò la rubrica Marketing Data Driven, pensata e realizzata in collaborazione con SAS. Il nostro obiettivo è quello di esplorare le opportunità che i dati offrono oggi al marketing manager per creare messaggi rilevanti ed efficaci per la propria audience.
I primi 30 giorni del direttore marketing
Eccovi lì alla scrivania ereditata con ancora le impronte digitali impolverate del predecessore. Siete il nuovo marketing manager di grande azienda (o la nuova manager, ancora peggior situazione, ma andrei fuori tema. Uso il maschile solo per pigrizia). Tutti si aspettano qualcosa da voi. Voi non sapete praticamente nulla dell’azienda (a volte nemmeno del settore — ma questa è una situazione che solo un’azienda illuminata prende in considerazione, quindi se siete in questa situazione e ne sono tutti consapevoli, è un bene). Vi immettono in tutte le riunioni, perché il marketing, si sa, tocca un po’ tutta l’azienda, ma soprattutto per raccontarvi che la colpa è di qualcun altro — del commerciale, del prodotto, del rivenditore, del sito, di Amazon. La gente vi saluta, e voi non sapete chi sono. Non sapete chi va a letto con chi. Quelli più affabili sono normalmente coloro in cerca di rivincite personali — “finalmente è arrivato qualcuno che la pensa come me”. Al contrario, il burbero “memoria storica” teme che voi stravolgerete la tradizione di famiglia e vi guarda con sospetto. Vi trovate di fronte a una serie di competenze digitali molto diverse. Da quello che doveva fare customer care ma si è inventato il CRM che ha fatto programmando in C++, quello che è entrato facendo il sito, ma ora è maniaco di social e vuole essere Ceres, quello dei dati che vi dice che dovremmo fare CRO e growth hacking, il direttore commerciale che ha visto “uno spot di un competitor che ha fatto vendere tantissimo”, le risorse umane che speravano che l’interim del marketing proseguisse a tempo indeterminato migliorando l’EBIT. Il CEO che vi convoca e dice che secondo lui il sito dovrebbe essere rifatto completamente. Tutti si aspettano che da soli abbiate la bacchetta magica che dieci anni e centinaia di persone in azienda non sono riusciti a trovare. In circa 30 giorni, come i politici e i presidenti degli Stati Uniti. E voi non sapete nemmeno dove sono i bagni. Se poi venite da una startup, preparatevi a tante delusioni.
Ecco alcune idee per i primi 30 giorni:
Per ogni idea trovate un dato e un aneddoto a riprova. Non sto scherzando.
Puntate a creare un KPI “North Star”, che indichi la contribuzione del marketing al profitto, che sia collegato alle vendite. Cercate di essere coinvolti anche nel prodotto, nel prezzo, nel punto vendita/online, non solo nella promozione. Scambiate una figurina promozione in cambio di una del pricing, con il direttore commerciale. Studiate i numeri, non i social: stupite con uno studio sull’elasticità al prezzo.
Puntate a creare un marketing plan snello ma partecipato. Fate dei meeting allargati ma, per evitare inconcludenzismi e fazionismi da sistema elettorale proporzionale, usate cartelloni e molti post-it. Le persone si affezionano a ciò che creano (o pensano di aver creato).
Siate umili, ma non remissivi. Voi siete lo strumento per salvarli dalla rovina e fare fare carriera a tutti. Ovviamente non proprio a tutti, ma non è necessario farlo sapere.
Non vincerete la battaglia in 30 giorni: l’unico dubbio è se voi sopravviverete (in senso che sarà l’impressione che vi perseguiterà per anni). Approvate le cose che sono già in rampa di lancio, tanto le hanno pensate altri, e avrete poi la scusa.
Non ci sarà una battaglia, peraltro. È una guerriglia, il marketing applicato. Psicologia, terrorismo, ideali. Usateli consapevolmente, il vostro fine giustifica i mezzi.
Tenete conto che l’interesse aziendale alto non interessa a nessuno. Ognuno valuterà ogni vostra azione e proposta con la propria partita doppia personale.
Chiedete soldi per analisi di mercato (che guiderete voi sapientemente), meglio se ancora prima dell’assunzione. Partite dal cliente (o meglio, dal non cliente): qual è il bisogno?
Andate a parlare con chi risponde alle mail e alle telefonate dei clienti. Ne sanno più del CEO. Visitate un punto vendita o uno scaffale per qualche ora. Serve anche per gli aneddoti (vedi sopra). Attenzione: non sanno nulla dei non clienti — ignorate le loro opinioni su questo.
Portate esempi di competitor: non servono quasi a nulla, ma piacciono tantissimo. Ma potete, come per i proverbi, trovarne sempre uno come prova a vostro favore.
Se arrivate dalla concorrenza, qualcuno vorrà sapere i loro segreti – gli altri sono sempre meglio, credono loro. Centellinateli, ma senza rivelarli veramente – anche perché probabilmente non esistono. La vostra reputazione è più importante del vostro lavoro attuale.
Scoprite chi va/andava a letto con chi. Capirete meglio la strategia di comunicazione e perché quell’inserzione o spot strano. Partecipate agli aperitivi (anche su Zoom).
Prima di buttare via un prodotto, un sito, una app, capite chi ci ha lavorato dietro. Capite se vi serve ancora chi l’ha creato e pensato, e pensate a una compensazione, in caso.
Attenzione al mago (solitamente pazzo) dell’art/design interno. Cercate di ibridare contributi esterni, human centered e portare il design dal “mi piace” verso kpi come “valore percepito del prodotto”, “eliminazione di sbatti nel journey”. Dati e aneddoti, ancora. Attenzione al permaloso.
Prima di buttare i fornitori per portare i vostri, con il solito spoil system, fate un check del valore effettivo e del radicamento in azienda. Al peggio, potete anche chiedere un refresh delle persone all’agenzia esistente. Tanto il valore delle agenzie è più correlato alle persone che lavorano per voi che al nome. Attenzione alla guerriglia.
Attenzione agli appassionati di strumenti: quello che ti parla dell’inevitabilità di TikTok, le PR con Clubhouse, quell’altro fissato con la mega piattaforma di email automation che però nessuno saprebbe poi usare. Ascoltate, sorridete, dimenticate.
Salvate tempo in agenda chiamando misteriose riunioni con voi stessi dal titolo altisonante.
Puntate a formare un manipolo di fedelissimi. Cercateli anche tra i dipendenti “dimenticati”, ce ne sono sempre in giro, tanto il marketing non è scienza nucleare delle particelle, si può imparare, se lo vogliono. Anche se non sono il team marketing che avete sognato — e che non avrete mai, arrendetevi subito all’idea – possono crescere, essere formati (da voi) e diffondere il verbo. Anche agli aperitivi.
L’architettura di marketing, nel cloud o in azienda? C’è anche la via di mezzo
Portare dati e applicazioni su una piattaforma esterna, in cloud, viene visto come un modo efficace per molte aziende per semplificare i propri processi IT. Tuttavia ogni scelta ha pro e contro.
Non è tanto un problema di sicurezza (sono nel cloud applicazioni di banche e assicurazioni, i dati personali sono al sicuro e i grandi fornitori di infrastrutture cloud sono attentissimi a mantenere i sistemi protetti da ogni attacco, quasi sempre con maggiori risorse di quante potrebbe averne un IT aziendale) quanto di efficienza ed efficacia. La scelta di spostare tutto in cloud non è così semplice.
In un mondo ideale, tutte le informazioni sui nostri clienti e prospect, sulle loro abitudini, comportamenti, interessi e acquisti sono su un unico sistema, un unico database che racchiude quello che serve - e anche di più - per permetterci di fare il nostro lavoro di marketer nel modo più efficace: se così fosse potremmo tranquillamente spostare questo database nel cloud, e con un’integrata applicazione di marketing automation e customer engagement (sempre in cloud, ovviamente!) potremmo interagire con clienti e prospect in modo personalizzato e rilevante.
Il mondo reale, soprattutto per le grandi aziende, però è un po' diverso: non abbiamo un unico sistema che racchiude tutti i dati. Per esempio, spesso il prezioso CRM non contiene le informazioni sul comportamento digitale dei nostri utenti. E probabilmente abbiamo anche altre fonti dati che vorremmo utilizzare e che stanno in qualche altro database in azienda.
Diventa quindi fondamentale poter combinare queste informazioni, esplorarne il contenuto, utilizzare gli analytics per trovare indicatori che possano rendere efficaci le azioni di marketing selezionando di volta in volta i contatti più appropriati, che però stanno in database on-site.
Quando consultare dati in modo frequente, veloce e flessibile diventa prioritario, è più efficiente farlo proprio laddove i dati risiedono: nei nostri sistemi, o come si dice in gergo, "on premises".
E il cloud? Resta importantissimo: da una parte, per raccogliere tutte le tracce dei comportamenti digitali dei nostri utenti, dall'altra per poter scatenare le azioni di engagement nei loro confronti dove è più immediato e veloce farlo, ovvero proprio su Internet, dal cloud, attivando campagne email, personalizzazioni dei propri siti web, e advertising, nel modo più agile.
Ecco spiegato in poche parole l'obiettivo dell'architettura di marketing ibrido: il cloud è prezioso e potente, e va utilizzato per comprendere i comportamenti degli utenti sui canali digitali, e e reagire automaticamente su questi canali; il data center aziendale rimane, allo stesso tempo, la modalità più efficiente in cui esplorare i dati, combinarli, realizzare laboratori, estrarre valore grazie agli analytics.
Farli lavorare assieme tramite un’architettura ibrida e integrata è la soluzione migliore.
Per approfondire ci sono le risorse gratuite di SAS, dove c’è spazio anche per feedback o domande.
Scuola di strategia
I piccoli marchi hanno maggiori probabilità di crescere rubando la quota di mercato dei concorrenti mentre i grandi marchi hanno bisogno di una crescita delle categorie per aumentare le entrate.
da Contagious.
Il quiz della settimana
Quale di queste categorie di piccoli negozi al dettaglio è diminuito in numero di più tra il 2012 e il 2020?
a) Libri e giocattoli b) Mobili e ferramenta c) Vestiario e calzature
Da leggere
Misurare l’impatto del design (human centered)
Sponsorizzare le room di Clubhouse è (ora) assurdo, ma il marketing ci ha insegnato che questo non è mai stato un problema.
La strategia, spiegata benissimo (e tirando in ballo Shakespeare)
Substack è una piattaforma come Facebook? (E quindi adirarci se paga scrittori che non amiamo?) Sì e no.
Negozianti realtime
That’s all folks!
Come al solito: inoltrate a qualcunə che è appena diventatə marketing manager.
Un saluto da qui.
gluca
PS: se volete fare una chiacchierata sul Clubhouse di Twitter (Spaces), vi affitto la stanza, come su Airbnb.
La risposta: b) - 27%
Bocconiano anomalo, proud generation X member, smontatore di panacee.
le attività noiose diventano perversamente molto meno noiose se ci si concentra molto su di esse. — David Foster Wallace
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Se sei nuovə qui, sono Gianluca Diegoli e mi occupo di consulenza su strategia di marketing e di vendita digitale, (e)commerce e D2C.
Ho scritto qualche libro, ma l’ultimo («Svuota il Carrello») è quello che mi rappresenta di più. Insegno in IULM e in Master.
Ho anche creato un mio corso online di marketing (e non di marketing online).
Ho co-fondato Digital Update e con altre due tipe più smart di me ho avuto l’idea del primo FreelanceCamp.
Questa newsletter è la sorella gemella del blog che tengo dal 2004. Un altro spin-off è il blog sul marketing insegnato (d)ai negozianti .
Ho creato canvas e un manifesto per la trasformazione del marketing.
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