Normalmente dispongo di abbastanza gradi di libertà nel fare la spesa, dove nel continuum tra il familiare teleguidato via videochiamata whatsapp con video camera posteriore orientata verso lo scaffale, il fattorino di Supermercato24 e il libero single io mi pongo abbastanza verso quest’ultimo, nonostante la spesa familiare. Posso per esempio cambiare olio (perfino con escursioni nel guardato-con-sospetto-spesso-immotivato “di origine comunitaria”), vino, pane, mozzarelle, parmigiano (basta che non sia grana padano: ma solo per nazionalistiche ed ereditate fissazioni familiari). Solo su di un oggetto non si può transigere: i famigerati o famosi (in casa) Bibanesi.
Che diavolo sono i Bibanesi – dirà chi di voi legge da sotto l’Appennino, dove scopro con scorno che la setta non è arrivata. Nella risposta a questa domanda sta il loro successo (parlo da marketer, qui a casa direbbero che il successo è perché sono buonissimi, ecc.). Per me i Bibanesi sono grissini corti e tozzi, dal vago sapore di pane all’olio (questo per il mio palato abominevole). “Un niente di che”. Eppure.
I Bibanesi hanno trovato il posizionamento perfetto: qualcosa che riesce una volta su cento. E hanno trovato un modo per renderlo profittevole, che riesce un’altra volta su cento: avviene quando riesci a essere considerato completamente diverso ma usando il 99% dei componenti di tutti gli altri. Oppure, ma sono meno convinto, hanno trovato il target giusto, come citato in una tesi apparentemente ben documentata sull’azienda.
Il target che l'azienda si prefigge di servire è costituito da soggetti giovani, attenti alla qualità intrinseca dei prodotti alimentari, alla dieta mediterranea, alla ricerca del sapore in un prodotto, senza però trascurare la genuinità, la qualità intrinseca (sic) e le caratteristiche realmente artigianali.
I Bibanesi, a sentire i fan qui a casa (e la tesi, e il loro sito) sono realmente artigianali: non so quanto si possa considerare artigianale in senso stretto un’azienda da quindici milioni di fatturato (e un milione e mezzo di utili, a giustificarne la profittabilità), ma in ogni caso l’importante non è esserlo, è creare quei dettagli che si ricordano. La parola artigianale: la puoi tirare fin che vuoi, e non si spezza mai.
La stiratura a mano (non so cosa sia, ma fa colpo, lo ammetto, pensare che ci siano tanti fornai e fornaie che fanno le formette a mano) fa sì che la pasta non venga troppo sballottata e non introietti il cupo trauma della catena di montaggio per cui poi la farina non se ne risente a essere cotta nell’artigianale forno: si adagia ed accetta tranquilla il suo destino.
E loro – come da manuale, come Don Draper consiglierebbe nella reason to believe portano la prova di questo: tutti i bibanesi sono diversi – anche se meno diversi di quanto siano mostrati in pack, più tozzi e aerodinamici. Comunque ho letto in un forum di mamme - documentandomi per questa lettera - il post di una donna incinta che dichiarava estasiata di aver trovato un bibanese a forma di feto attaccato a un bibanese “mamma”. È vero, eh.
Comunque fa impressione pensare nell’efficiente Veneto a questi non-grissini tutti diversi by design, stirati da tanti operai-fornai. Sembra quasi che li guardino, prima di metterli sul rullo, dire ad ognuno, “vai, bibanese mio, ricorda che ti ho stirato io”. Insomma, il cd paradosso di Grom è stato disinnescato. Si può essere di lotta e di governo, di artigiano e di gdo. Di eataly e di discount.
I Bibanesi dunque non sono grissini, se glielo dici si offendono e si spezzano autonomamente in due (Ndr: i bibanesi sono notoriamente indistruttibili, al contrario dei grissini. Credo che parte del successo sia dovuto a questo: li porti a tavola sempre interi, anche dopo averli lanciati dalla station wagon). Alla Nielsen non sanno ancora oggi dove metterli, in quale sotto-categoria del “sostituto del pane”: Bibanese, vai nella fila “altro”, dove sei da solo. Galletta, vai con le gallette. Chissà se il fondatore sarebbe contento di vedere “produzioni grissini artigianali” nei tag SEO del sito. Secondo me li avrebbe licenziati tutti quelli dell’agenzia.
In effetti, il bibanese rappresenta l’archetipo del posizionamento perfetto. È il grissino che si è reso indipendente – e scalabile, direbbero quelli delle startup. La logica del posizionarsi è (far credere) di essere altro, e parlando in generale per non offendere i bibanesi, che sia vero o no è secondario. Nella mente del fan del bibanese lui è diverso, e questo basta. Non c’è grissino, fagoloso o mulinoso, che tenga. Mai come in questo caso la forma è la sostanza, in senso letterale. I grissini? Puah. Un sostituto del pane. I bibanesi? Ah, i Bibanesi!
I Bibanesi quindi, come da teoria del marketing e di Thiel (“la competizione è per sfigati”), si sono fatti il proprio campionato. E nessuno osa sfidarli. Non ho ancora visto i cibanesi di Esselunga o i dibanesi di Coop (edit: ci sono, ma solo al kamut - io odio il concetto di kamut®) Forse non hanno il coraggio di affrontare le truppe dei bibanisti. Solo la Lidl a quanto mi ricordo ci prova, con il sempre tautologico naming che la contraddistingue:
La grande distribuzione è da sempre parte essenziale del loro piano di conquista del mondo – mica puoi rimanere relegato ai siti di gourmet food ignorati da tutti o dai negozi del centro frequentati da un italiano su di un milione: devi essere ovunque e allo stesso tempo mostrarti artigianale e riconosciuto come tipico, qualunque cosa significhi.
I Bibanesi sono così peculiari che sono inseriti nell'elenco dei prodotti tipici del Ministero dell'Agricoltura (Decreto del Ministero delle Politiche Agricole 8/5/2001 e successivi), ma non come "panetti" o "grissini" ma proprio come "Bibanesi", tanto sono unici nella loro categoria.
E così differenziandosi e facendo pagare un premium price, senza tante offerte speciali, ma allo stesso tempo essere distribuito in praticamente tutto il nord, dallo scaffale del piccolo Conad all’ipermercato Carrefour, che pensa “non posso non mettere i bibanesi a scaffale, sennò gianluca tornerà con la coda tra le gambe dal supermercato o dalla spesa online e poi la prossima volta…”. Ma quello scaffale a sua volta funziona come pubblicità, come ricordo, come bastione. Stavolta la marca sembra aver raggirato la distribuzione e non viceversa, risparmiando pure sulla TV.
Anche perché per una volta le ossessioni dei fondatori sembrano aver funzionato: l’arte nel packaging, edizioni speciali limitate, il Bibacalendario, il Bibaeroplano, il pack che si racconta e si differenzia (al contrario del pack, che è stato il mio punto di resistenza per molto tempo “ehi, questi bibanesi, non si capisce dove devo differenziarli!” E niente, ora l’hanno scritto, va nella plastica. O nella carta?Comunque ultimo baluardo saltato).
Il successo è anche una gabbia, come sempre: ho l’impressione che le varianti non ottengano lo stesso successo, ma posso sbagliare. Almeno, quando per errore le porto a casa (kamut e altre robe) è un disastro: “costano di più, ce ne sono di meno dentro! La prossima volta guarda meglio!”.
Per eliminare questo cruccio settimanale, ho deciso di comprarne uno stock. Su Amazon non ci sono, sul loro sito sì. Tuttavia a me servirebbe un abbonamento, non il pallet di bibanesi necessari lì per non pagare le spese di spedizione. Li aspetto con ansia. Prima dei bibanesi NFT, almeno.
Il quiz della settimana
Si vendono al supermercato più grissini o cracker in Italia?
a) grissini b) cracker
Altre cose serie scritte e dette da me
Un mio articolo per il progetto “Metriche” di Link Idee per la TV
Una intervista su User Personas, Purpose e altre cose divertenti
UX School
“A destra se sei seduto, a sinistra se sei in piedi” Il maschile sarà un caso?
That’s all folks!
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gluca <3
Quiz: a) cracker (Statista, Nielsen, Food)