[È venerdì] I dilemmi del marketer
E' un mondo difficile | e vita intensa | felicità a momenti | e futuro incerto
Se anche tu hai nostalgia per quando si leggevano i feed dei blog su Google Reader anziché iscriversi a millemila newsletter che finiscono in cartelle random di Gmail, allora per te Substack, la piattaforma su cui scrivo questa email settimanale, ha creato una specie di feed-reader-di-newsletter-app.
Io la uso, ha anche un sistema magico per evitare duplicazioni (se leggi su app, non ti arriva via mail, circa). Mi preoccupa un po’ la possibile algoritmizzazione di un mezzo anarchico-romantico come la mail (per ora le newsletter sono in ordine cronologico, ma domani? Anche se per l’oggi, come sempre ci fa comodo che arrivino subscriber anche da lì).
E manca la possibilità di rispondere via email, che è la cosa che apprezzo del tenere una newsletter: comunque puoi sempre scrivermi a gianluca@diegoli.com (anche gli spammer, che mi interessano sempre come rassegna del sign of the times).
PS: un’alternativa di lettura italiana per le newsletter (alcune almeno) è Mindit.
Dilemmi
Questa settimana Elisabetta Zurovac, docente all’Università di Urbino, mi ha invitato a tenere uno speech dal titolo ambizioso di “Sfide del marketing contemporaneo”.
È stata l’occasione per fare il punto, come sul lettino dell’analista, sui dilemmi (ho ripiegato su di un termine più adatto) che il marketer oggi si trova a risolvere (o a posticipare, che a volte è la soluzione, ci penserà qualcun altro, io sarò già scappato di qua).
Il primo dilemma è “tornerà tutto come prima?”, e la risposta scontata è no. Ma questa è la risposta breve e comoda. Quella utile ma complicata è “quanto, cosa, come e per chi” cambierà quasi tutto? “Non produco attrezzi per la casa, questa ossessione per la vita domestica proseguirà?”
Aiuto, non abbiamo case study su cui basarci, come facciamo adesso a fare innovazione se non possiamo copiare?
Il problema nel dilemma è il classico sunk cost, il costo sommerso. Quello che hai sostenuto e non puoi più recuperare. Ho investito in un affitto decennale di punti vendita. Ho investito in un team di %inserire professionalità%. Ho un ecommerce che non funziona ma ormai ho pagato l’agenzia per la piattaforma.
Il guaio del costo sommerso è che questo ci porta a sbagliare spesso le valutazioni. Il classico esempio: quando abbiamo visto metà di una serie (tempo investito, che è come denaro), e quindi dobbiamo vedere la fine anche se ci fa schifo. Abbiamo pagato un corso online e quindi lo finiamo anche se stiamo solo perdendo tempo, perché l’abbiamo pagato. In negozio non ci va nessuno, ma ho già pagato l’affitto e gli arredi. Dunque sì, stiamo cercando di capire come si depositerà la grande digitalizzazione accelerata, ma il problema è che ci dispiace buttare via cose per cui abbiamo speso soldi (e la faccia).
Un dilemma conseguente è la ridefinizione del valore per il cliente (e quindi per noi) del brick and mortar. Sempre meno punto di attrazione di per sé, sempre più concentrato apicale di brand experience, bisognoso di drive to store, spintarelle digitali di dubbia potenza rispetto alla comodità dei nostri divani muniti di intrattenimento.
Sulla teoria siamo tutti d’accordo, su come farlo sul serio e se brancoliamo nel buio, dopo che per anni ci siamo baloccati con inutili installazioni di specchi intelligenti e camerini multimediali. Perfino il wifi non viene nemmeno chiesto più dal cliente in negozio, la connessione è una commodity che non vale nemmeno più lo sbatti di inserire una password gratuitamente.
E qui veniamo al dilemma della realtà: tutti ci insegnano che il consumatore è cambiato, è ecologista, è interessato alla sostenibilità. Ma i dati poi ci dicono. che la app più scaricata è Shein, che non è proprio in linea con quello che ci hanno detto. Quindi, o i sondaggi mentono, o la gente mente (ovviamente la gente mente, sempre, anche non volontariamente).
Quindi, marketer, che fai: te ne freghi della sensibilità sociale teorica e prosegui a creare prodotti spazzatura di basso costo richiesti dal mercato, andando incontro a pubblica gogna a parole o ti immoli sperando che quella fetta di persone che fa quello che dice ti preferisca e sia sufficiente? Il dilemma della purpose: ti devi schierare su temi sociali o no? Tanto arriveranno pomodori in entrambi i casi: “l’hai fatto ma sei falzo; non l’hai fatto, maledetto capitalista!”
È l’epoca della ipersegmentazione: nella nuova realtà digitale e nel direct to consumer c’è sempre qualcuno che cerca di superarti a destra, con una nicchia più nicchia della tua (birra analcolica solo per mancini, ma sostenibile). Che fai? Ci vai? Lasci che eroda, nicchia oggi e nicchia domani, un mercato più generalista, o ti butti in una competizione che non sai come gestire? Aspetti che fallisca il tentativo, sapendo che se non fallisce potrebbe essere tardi? (Dilemma di Cortilia) Prima si poteva far finta di non sapere, ora con il web tutti ti mandano il link “guarda cosa sta facendo questo: la carta igienica ordinabile direttamente dal bagno recapitata in 5’ minuti!”. E tu abbozzi.
Un altro punto che ho sottolineato è come i brand siano diventati in genere meno collosi, seguiti e trusted degli influencer. Questo, perché le persone hanno indubbi vantaggi competitivi, sono persone dopotutto, e i social media sono nonostante tutto mezzi personali. Quindi, devo usare gli influencer, con tutti i rischi reputazionali di un’epoca suscettibile e con tutti i problemi di misurazione dei loro risultati, o devo far diventare influente il mio brand personalizzandolo come Tesla? (Dilemma Chiara Ferragni. O devo misurarli esattamente come fossero advertising? (Cosa che ammetto faccio spesso anche se mi sfugge qualcosa, probabilmente, perché costano molto di più)
E poi (dilemma del budget) devo investire sul brand, perché nel lungo periodo si sa, quello conta, lo dice anche Les Binet che ha lavorato sui dati storici che l’equilibrio ottimale nel lungo periodo è all’incirca 60% di brand e 40% di performance? Ma intanto che aspetto il lungo periodo devo andare su Amazon? Sperperare su Google che costa come la benzina? Perché se poi alla fine la gente se ne sbatte del brand e compra dove è più facile, e il prodotto decente che trovano per primo?
Ok, allora mi faccio guidare dai dati (dilemma del data driven)? I dati a cosa mi servono? Non certo a mettere il pilota automatico per la strategia. Servono soprattutto ad avere illuminazioni, basate sul comportamento delle persone e non sul whisky e il genio come faceva Don Draper. Ho recuperato da un webinar questa frase.
Analytics involves both art and science. Seeing the full customer journey gives you a better paint brush. Find the ant trails by letting the data guide you.
(questa cosa delle persone come formiche mi ricorda quando da piccoli si mettevano crudelmente nei barattoli per vedere se facevano i tunnel)
Certo, ce lo ripetono ovunque. I dati servono a raggiungere il nirvana del marketing: il contenuto giusto alla persona giusta nel momento giusto nel canale giusto. Il cliente al centro dei sistemi di marketing. 1-1 marketing. Eccetera eccetera.
Ma qui il sotto dilemma è: i miei dati sono davvero buoni? Garbage in, garbage out. E se il mio pilota automatico avesse una mappa sbagliata? E quanti dati sono necessari davvero per capire un cliente? Sì, perché checché se ne dica, le persone continuano a sfuggirci – il sogno di entrare nel cervello di chi compra è appunto un sogno. E poi dovremmo fidarci di campagne sempre più algoritmiche in cui perdiamo completamente il controllo del come? Se Facebook o Google decidono che è conveniente vendere solo un prodotto (quello che performa meglio in adv) anziché quelli chiave o con maggiore marginalità? E quando quel prodotto è out-of-stock?
E ancora peggio, come li ripaghiamo questi dati di prima parte (dilemma del costo dello scambio)? Cosa daremo in cambio di un indirizzo email? Dieci litri di benzina? Un abbonamento gratis a Netflix? La gente ha capito che i dati valgono e ci tiene per le… il manico del coltello. Certo, i dati di prima parte sono buoni, ma costano milioni (cit). Il rischio è che tutta questa rilevanza e precisione sia efficace ma inefficiente.
E sul (dilemma della) creatività? Cosa mi dice una piattaforma che crea social media post meglio dell’agenzia?
The AI takes between 10-30 seconds to create the content for your post.
Che l’agenzia non è all’altezza, che la sto pagando troppo poco, che tutto ciò davvero non cambia nulla comunque? Che forse devo ripensare a (orrore) misurare l’efficacia della creatività? O pagare le agenzie per cose che valgono davvero?
E cosa vale davvero? Entri il dilemma dell’attribuzione: cosa ha portato davvero alla vendita, visto che ormai lo sanno tutti che il last click è un geniale trucco di Google?) la devo far fare ai dati. E il ciclo dei dilemmi ricomincia da capo.
Però non preoccupatevi: alle studentesse e studenti di Urbino ho raccontato una versione edulcorata dei nostri dilemmi. Quel poco che basta per fargli riconsiderare un futuro nel marketing. Gli ho risparmiato il dilemma del metaverso.
Cover Photo by Jared Rice on Unsplash
Il quiz della settimana
Chi mangia più banane per persona in un anno?
a) Francia, b) Italia c) Gran Bretagna
Links & co.
Oggi alle 12.30 a Digital Update parliamo, per la rassegna di webinar Ibridazioni, di mixology tra B2B e B2C con Miriam Bertoli e Giorgio Soffiato, che sono nel comitato scientifico della Scuola (di cui oggi aprono le preiscrizioni per il 22-23)
Ad aprile ritorna Umania, AI for Marketing, l’evento IULM dedicato alle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale, sia live che in streaming: qui l’agenda. Ho alcuni coupon low cost: basta inserire DIEGOLI59 nel carrello. Ci vediamo là.
Ultima occasione per l’esperimento Marketing Xchange con Giorgio Soffiato. Un’ora a tu per tu con un* marketing manager (vuoi essere tu?) per fare assieme un brainstorming sulla strategia e trasformazione digitale dell’azienda. È gratis, ma faremo necessariamente una dolorosa selezione, ci si candida qui.
L’articolo della settimana è di Mizio Ratti, in cui, oltre a cose interne sul ruolo del direttore creativo, dice che i marketer devono superare la fase anale, e un po’ ha ragione. Ovviamente non posso dare ragione al 100% a un creativo, in quanto marketer, appunto.
That’s all folks!
Anche questa settimana è arrivata alla fine e pure questa newsletter.
Se ti è piaciuta, girala alla tua vicina di casa. Se hai disponibilità, aiuta Intersos al confine ucraino, è più efficiente che inviare cose (costa più il trasporto che il dono).
& take care, gluca
(Non ricordi cosa faccio a parte questa newsletter? Continua a leggere sotto)
Quiz: c) GB, circa 14 dollari a testa di banane all’anno. Italia e Francia circa 9 dollari. (fonte worldstopexports.com)