La parola dell’autunno è ibrido.
1 si dice di vegetale o animale prodotto dall’accoppiamento di due specie o varietà diverse: fiore ibrido; il mulo è un ibrido
È ricominciata l’università, questa volta in presenza, ma ibrida. Gli eventi sono ibridi. Le riunioni si fanno ibride. Il lavoro è ibrido.
Martedì, ore dieci e trenta. Sto cercando di attirare e mantenere l’attenzione di un gruppo di 23 enni al primo giorno di università, e nel vecchio mondo di prima comincerei a girare per l’aula con il mio microfono in mano, come un Mike Jagger in t-shirt (perché all’università fa sempre così caldo?) che affronta un pubblico che potrebbe essere di suoi nipoti – ok, non sono così anziano, ma la sensazione è quella.
Ora non posso più farlo: le regole dell’ibriditudine mi impongono di rimanere fermo davanti alla webcam e soprattutto al microfono. E di usare il computer fisso dell’aula (Windows! e i miei link e il mio account di Google con la doppia autenticazione? Usare un computer non tuo è contro la convenzione di Ginevra).
E poi i font che non ci sono. E questo è il meno. Piccolo inciso — all’università le slide devono essere orribili per essere “studiabili”. Questo l’ho imparato a mie spese dai feedback “prof. perché non ci mette più roba sulle slide che facciamo meglio a studiare?”. E allora via, con quel sottile piacere di qualcuno a cui viene imposto per legge di commettere un piccolo reato, e io aggiungo testo fitto, punti elenco, schemi, come neanche le slide di IBM nel 2003 o quelle di Accenture nel 2020. Praticamente ho scritto un libro di testo in formato orizzontale.
Mi accorgo dunque che ci sono una ventina di studenti che si collegano da casa. Eccoci: siamo ufficialmente ibridi.
Nel 2020 avevo ri-costruito appositamente per l’online il corso: slot da venti minuti di spiegone, venti minuti di lavoro in streaming privato nelle stanzette a gruppi di Teams, venti minuti di commenti vari. Integrazione delle lezioni con momenti interattivi usando Miro, Google Docs, Survey varie. Tre ore così passavano abbastanza bene. L’interesse di chi c’era era alto, feedback buoni. Forse qualcuno guardava la TV con la webcam e il microfono spento, chissà, tanto per fingere di essere “frequentanti”. Ma del resto nemmeno in aula posso controllare che qualcuno stia davvero ascoltando. Ed è giusto così: ognuno fa le sue scelte.
La verità: mai trasmessa tanta conoscenza in 44 ore. La didattica a distanza (per gli adulti) è estremamente efficiente. Perché si iniziava puntualissimi. Le pause duravano meno, perché chi entrava in ritardo non faceva casino e non disturbava gli altri. Nessuno chiacchierava in aula (io ero un disturbatore eccezionale alle superiori e anche all’università, quindi non posso lamentarmi, karma is a ecc.). Per le aziende ho deciso di fare solo didattica a distanza, e così la Scuola Digital Update, salvo networking in presenza.
In didattica ibrida il rischio di far sentire esclusi gli studenti online rispetto a quelli in aula aleggia, per quanto si stia attenti. Ma non si può osservare le facce degli online contemporaneamente ai presenti. Sono indeciso se per coloro che si collegano da remoto sia un “meglio di niente” positivo da mantenere per sempre o qualcosa di provvisorio da sistemare.
Comunque, niente esercizi a gruppi su Teams, come l’anno scorso, perché non posso né farli spostare dalle loro postazioni (a parte per motivi sanitari, ogni migrazione in aula da 100 persone porta via almeno quindici minuti per fare i gruppi e quindici per tornare alle postazioni) né ibridarli via call con i loro colleghi online perché sarebbe il caos uditivo in aula. Però proverò a farli lavorare collettivamente su Miro e alcuni canvas, ognuno dal proprio pc - come se fossero da remoto.
Certo loro mi sembrano contenti di questa ibridazione: assieme di nuovo, a chiacchierare nei giardini e al bar, a sfumacchiare civettando tra le fontanelle: sembra inizio primavera. Metterò a tacere il mio perfezionismo e penserò che non sempre la massima efficienza formativa è l’unico parametro. Ci guadagneranno in relazioni che dureranno per tutta la loro carriera, con il bonus di poter frequentare in presenza o da remoto a seconda di come gli è più comodo - uff, quanto mi sarebbe piaciuto alla loro età.
Poi ci sarà l’autunno degli eventi ibridi: anche questi andrò a sperimentarli prossimamente. Pubblico ristretto in presenza, gli altri a casa. Non si può fare altrimenti, ma quale sarà l’experience di coloro a casa? Si sentiranno di serie B? Dipende da noi: ne aveva parlato da esperto Fabrizio Ulisse in tempi non sospetti sul blog di Digital Update.
Il problema dell’ibriditudine è ancora più irrisolto nelle riunioni, in teoria molto più interattive delle lezioni o degli eventi. Come far comunicare quelli che sono nella sala riunioni con quelli che sono a casa e viceversa? Sono nati perfino canali YouTube che lo spiegano. Mi sono messo a guardare i tutorial, ma il setting è talmente complesso che mi è passato l’entusiasmo. Microfono tipo giraffa per passare la parola a chi è in presenza e sta parlando: ci pensate? Cassa bluetooth per amplificare la voce di chi è a casa. Telecamera grandangolare per inquadrare i partecipanti in presenza a favore di chi è a casa. (Opzionale: seconda telecamera che inquadra in primo piano chi sta parlando) Proiettore collegato con un PC di sala (brrr) per trasmettere le facce o le slide di chi è a casa. Forse solo in Norvegia potrebbero farcela.
Ok, direte voi: ma quei famosi aggeggi da millemila euro fissati alle pareti a TV da 56 pollici nelle sale riunioni corporation-dirigenziali, collegati a quei plasticosi centrotavola a forma di ragno che nessuno aveva mai capito come far funzionare, non si potrebbero riciclare, non sarebbe venuto finalmente il loro momento?
Non lo so, di solito le persone non li usavano per un semplice motivo: perché tutta quella tecnologia non era compatibile con la controparte esterna o semplicemente perché era più facile usare Skype (all’epoca). E la complessità: il tecnico del microfono-ragno (l’unico che conosceva i suoi segreti) non si trovava mai.
Ora siamo tutti su Zoom, Meet e Teams. Forse dovrebbero creare un hardware a basso costo che inquadri dinamicamente chi parla in sala meeting e gli punti il microfono direzionale contro, compatibile con la triade principe della nuova normalità. Magari esiste, fatemi sapere. Magari uno di quegli aggeggi di Zuckerberg per collegare le famiglie funziona anche per le aziende, sai mai.
Io nell’ultima riunione nel frattempo mi sono arrangiato così, essendo io quello in remoto: ho chiesto a un partecipante volonteroso di collegarsi con il suo cellulare a Zoom e passarlo in giro per la riunione fisica, mettendo il microfono vicino a chi stava parlando. Non proprio perfetto, ma almeno si sentiva qualcosa.
C’è però forse un’altra soluzione (oltre a eliminare le riunioni inutili, che potrebbero essere sostituite da scripted meeting o da comunicazioni asincrone – come dice Bezos, se c’è bisogno di riunioni per comunicare, abbiamo un problema di comunicazione).
La soluzione è stare ognuno alla propria scrivania nel proprio ufficio, al proprio pc, con le proprie cuffie, quando uno o più persone si collegano da remoto, se questa persona è importante nella riunione. Se non lo è, forse non dovrebbe partecipare. Se lo è, dovrebbe essere considerato come chi è in carne e ossa. Per 60’ non muore nessuno: l’abbiamo fatto per un anno e mezzo.
C’è un non detto di fondo: la riunione non è (non dovrebbe essere) un momento di team building per cui è necessario annusare la stessa aria. La trasformazione digitale ha de-composto la funzione dell’ufficio. Lavoro, riunioni e team-building-socialità possono essere spacchettate utilizzando al meglio e in modo dedicato le risorse individuali e aziendali. Se lavori su di un excel puoi farlo tranquillamente da casa, se fai riunioni devi usare i mezzi adatti (ripeto: Teams anche per chi è in ufficio, perché no?) e se fai team building, socialità o workshop collaborativi devi organizzare dei momenti ad hoc, magari in un ufficio profondamente rivisitato, visto che la sua funzione sarà in futuro solo questa. Le aziende che lo capiranno saranno quelle che tireranno fuori il meglio da questa ibriditudine.
(ahem, volevo essere breve, ma non ho avuto tempo per farlo. cit.)
buon weekend,
gluca
PS: ovviamente sono contrario alle macchine ibride, resisto con il mio diesel euro sei fino a quando non sarà tutto elettrico puro. A volte l’ibrido prende il peggio dalle combinazioni, ma questo è un parere personale.