[È venerdì] Di taxi, posizionamenti, algoritmi e differenze
E perché lo storytelling è (quasi) impossibile
[Questa email è stata chiusa mercoledì sera, ora sono a Bucarest, non chiedete. La intro è stata scritta sul cellulare, che vita]
È martedì mattina e sono in coda per il taxi – non avevo capito che lo sciopero della metro a Milano fosse così esteso – e davanti a me ci sono circa 200 persone – contare con una certa precisione le persone agli eventi di qualsiasi tipo è un mio bias, a furia di essere valutati, come marketing, fin da piccoli dal numero di poltrone occupate agli eventi aziendali (è il motivo per cui hanno inventato le paratie separanti, così qualsiasi evento risulta pieno, affettando adeguatamente una qualsiasi sala). Al ritmo di tre taxi al minuto, ci vorrà circa un’ora, previsione rivelatasi poi azzeccata. Di fianco a me una signora cerca di passarmi davanti, io faccio finta di niente.
L’atmosfera si potrebbe definire tranquillamente esplosiva. Le occhiatacce per chi – facendoci o essendoci – cerca di fermare i taxi in arrivo, senza accorgersi – dolo o colpa? – della coda che ormai arriva fin davanti allo Starbucks, con un andamento a frattale autocreatosi che meraviglierebbe chiunque studi la teoria dei giochi. Consulto Uber, sai mai. Sono 80 euro per andare all’università: è la legge del mercato, che alla fine, rimbalzando di qua o di là, finisce sempre per infilarsi nella casella di chi non si può permettere di pagare. I taxi di Milano-smart-city sono sempre pochi, ma oggi sono risibilmente pochi, e se la godono, anche se con un aplomb gentile, meneghino, nonostante a bordo ci sarà pure un Cruciani, arrabbiato pure di mattina (come l’avranno scovato?).
In coda c’è chi comincia a conversare, chi è freneticamente in call da “mobile”, chi rimane di guardia. Alla fine scopro che la signora sorpassante è in ritardo al tribunale, un’altra per una visita importante. È giusto che mi abbiano sorpassato, alla fine. Una ragazza mi dice “ma lei è il professor Diegoli?”, è una studentessa dell’anno scorso (non mi abituerò mai al titolo accademico). Intanto gli studenti mi scrivono educatamente via email (citazione della newsletter della settimana scorsa) e mi chiedono di fare la lezione online, gli rispondo su Teams. Alla fine farò – la mia nemesi – la lezione ibrida: in presenza, online e registrata. Nessuno avrà il massimo, ma per tutti sarà good enough. Che è una lezione in sé.
In collaborazione con
Ben ritrovato! Siamo di nuovo noi, gli wethoders: i 7 appassionati di project management e innovazione.
Oggi torniamo qui frizzanti e carichi - mancano pochi giorni all’evento Supernova Agencies e non vediamo di conoscere gli ospiti di persona!
Il pomeriggio sarà incentrato sulle best practices che alcuni top player del settore hanno utilizzato per raggiungere obiettivi e traguardi.
Imparare dai migliori è sicuramente una buona prassi, ma tutti abbiamo invocato almeno una volta l'esistenza di un cursus honorum per il successo definito e prevedibile!
Quando abbiamo sviluppato la piattaforma abbiamo voluto creare una soluzione che migliorasse e valorizzasse anche gli aspetti generalmente più controversi nella gestione dei progetti: i dati, la performance e le risorse.
Quello che oggi offriamo con wethod è un sistema che migliora la performance nei progetti attraverso un supporto per decisioni strategiche e un’elevata qualità dei dati pur mantenendo una struttura organizzativa snella.
Se ti abbiamo incuriosito e vuoi scoprire la nostra filosofia vieni a conoscerci all’evento Supernova Agencies o scrivici. Ci farebbe molto piacere conoscerti!
Alla prossima,
Gli wethoders
Di brand, algoritmi, differenze
È stato interessante il pomeriggio di mini-hackaton che con Digital Update abbiamo organizzato per Registro nell’ambito di Internet Festival a Pisa. 50 aziende che in uno sprint eroico di quattro ore hanno cercato di chiarirsi le idee su posizionamento, contenuti e leve operative.
Con alcuni imprenditori e operatori mi sono fermato per scambiare delucidazioni sul concetto di posizionamento: alcuni iniziavano presentandosi con “noi siamo il classico brand di…”, “la classica azienda di…”. Ecco, se vi sentite la classica qualcosa, significa che il vostro posizionamento è incerto.
Si dice spesso ai convegni e nelle presentazioni visionarie che oggi l’attenzione è scarsa, l’offerta ampia e i bisogni (veri, impellenti) nulli. La cosa interessante è che la frase è vera. E ci si mette pure il pessimismo (lecito) che per il marketing è peggio del lockdown – almeno lì farina e pigiami si acquistavano, in attesa di tempi migliori.
Ecco, oggi il posizionamento è necessario più che mai. Ed è psicologicamente complesso da pensare, ancora prima che attuare: l’istinto del gregge è sempre in agguato. Guardate uno scaffale, diceva Youngme Moon nel suo libro seminale Different: sono tutti diversi, ma in realtà tutti uguali. Individuava nel libro alcuni brand, gli unici che spiccavano: quelli ostili, controintuitivi, che richiedono friction per entrare, perché “se è troppo liscio entrare, è anche troppo liscio uscire”. Che scarpe orrende sono le Birkenstocks, dice l’autrice (come non concordare) e la Redbull non è forse imbevibile (come risultò da tutti i focus group della Terra)? Sono brand ostili, divisivi, poco amichevoli, che piacciono a minoranze (sia pure enormi, vista l’enormità di quei mercati).
Sì, ma se io produco pasta con grano antico e tutto è bio, sostenibile, ecc. ecc. – e quindi sono “il classico brand di…”? Io credo che serva sempre più decidere un messaggio che potrebbe appartenere a un brand “ostile”. Raccontare tutto è impossibile. E qui arrivo a un altro concetto. Fare storytelling, se non siete un brand da decine di milioni di budget di advertising all’anno, non è (più) possibile. È possibile far passare un messaggio, un posizionamento solo. Scrive Christian Salmon in Fake (l’ho abbandonato verso la fine, ma alcuni passaggi sono interessanti e applicabili non solo alla politica):
"Prima sono finite le grandi narrazioni, poi è finito lo storytelling, e ora siamo in una nuova età dove il potere delle storie dura pochissimi giorni o minuti. Personaggi politici con una nuova storia da raccontare salgono rapidamente nei sondaggi per poi bruciarsi pochi mesi dopo, non c’è tempo per creare narrazioni coerenti, lineari, “hollywoodiane”: con un inizio, uno sviluppo e una fine. Il pubblico, sovra-stimolato da un’offerta di “storie” e contenuti debordante, governato da algoritmi che alterano continuamente la visibilità di questa offerta secondo logiche incomprensibili, non ha più il tempo di seguire la trama di una storia, di seguire lo sviluppo narrativo di un politico outsider, afro-americano, che piano piano si presenta al mondo raccontando la sua storia e andando a vincere." (che-fare.com, Le storie non funzionano più, come stiamo arrivando alla fine dello storytelling)
Un’altra lettura mi aveva colpito questa settimana, e c’entra pure questa con il discorso: questa è l’epoca post-iconica (un po’ da mal di testa, potete saltare se volete), dice Ana Andjelic nella newsletter Sociology of Business. In sintesi: non c’è tempo per diventare nuove icone – e quindi si riciclano le vecchie icone. Se il tuo film è un disastro, non diventerà un cult, sarà semplicemente ignorato, e così via.
Nella seconda parte della giornata, Enrico Marchetto ha detto: lasciate fare all’algoritmo (parlava di targeting su Meta soprattutto), che è come Mosè e dunque vi guiderà nella terra promessa. Come non essere d’accordo, quando si parla di marketing di performance? “L’ossessione batte sempre il talento”, diceva un ispirato Adam Sandler in Hustle: e oggi chi è più ossessionato di un algoritmo che lavora con infinite risorse, 24 ore su 24, per un obiettivo preciso da raggiungere nel più breve tempo possibile?
Ma a livello strategico, l’algoritmo, messo sotto a lavorare con un’infinità di contenuti diversi – magari creati dalla AI – per infiniti target diversi, diventerà come Trump sul digital nel 2016: dirà tutto a tutti, o meglio, a ognuno il suo, ciò che ognuno si aspetta di sentire. È possibile – senza però avere la Fox alle spalle – costruire un brand (posto che abbia ancora senso questa frase) dicendo tutto a tutti, microsegmentando e ottimizzando verso il pubblico con la minore friction possibile, in un mondo in cui l’attenzione è minima, l’offerta infinita e il bisogno nullo? L’algoritmo, ammette anche Kantar, è stato finora molto meno bravo a capire un concetto sfumato come il brand di quanto è bravo a capire una vendita online.
[our service] can now test content at scale to indicate which ads will best drive brand lift.
Ci fidiamo? A voi l’ardua sentenza.
Negozianti
Grazie alle mie corrispondenti da tutta Italia, a cui non sfugge nulla.
Agenda
Sono aperte le iscrizioni gratuite a Be Curious. Be Innovative del 3 novembre 2022, l’evento di SAS in cui si parla di dati, di algoritmi e delle loro applicazioni. Io conduco la sessione dedicata al marketing data-driven con ospiti e casi molto interessanti. Il programma in progress è visibile da qui.
Avete scaricato la seconda puntata del podcast Discovery Commerce, in cui conduco assieme a Wintana Rezene? Che Natale non è così lontano.
That’s all folks!
Un saluto virtuale da Bucarest (ripeto, non chiedete), e alla prossima settimana.
gluca