Anche questa edizione è supportata da Banca Etica.
Over-complicated marketing
Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane
Ci si spalma sopra un bel giretto di parole vuote ma doppiateSamuele Bersani - Giudizi Universali
Sono lì che ascolto la nostra ospite fare lezione e mi sorprende ogni volta quanto gli studenti e le studentesse siano ammaliate dagli spot. Spot che chiaramente non hanno visto prima, perché buona parte di loro non ha nemmeno la TV in appartamento (ho sondato prima). Ma quando mostriamo il making of e il risultato finale sul proiettore in aula i loro occhi si trasformano in cuori, l’attenzione risale, lo smartphone si posa. Potrebbe essere che dentro di loro/noi c’è il desiderio recondito di essere colui o colei che ha scritto quel copione e di essere tipo alla prima di Venezia – anzi di Cannes. O la sensazione che un film di trenta secondi lasci una traccia nel mondo più di duecento versioni diverse di un post sponsorizzato su Facebook. O tracce residue del riconoscimento dell’artista che aspetta di essere scoperto dal mondo, cosa che non avverrà (apparentemente) se dovrò creare un funnel pieno di KPI e di numeri. Ma potrebbe anche essere che creando un film si ha la sensazione (spesso irreale) di fare la differenza. E se deve fare la differenza, ogni dettaglio conta, no?
Gli studenti hanno già nel DNA primigenio quello che poi si svilupperà da creativi o da marketer: l’ossessione/fascinazione per i dettagli della grande opera, per modificare duecento volte quel passaggio di cucchiaino di uno yogurt, o il sorriso del bambino che lo mangerà, il respiro dell’atleta-attore che ha fintamente corso i 100 metri, la mano che afferra la merendina (troppo magra? troppo bianca? troppo scura? con anelli o senza?).
E se è pur vero che oggi grazie a YouTube possiamo fare replay e fermo immagine di qualunque cosa, soffermandoci sui dettagli e decontestualizzando qualsiasi cosa è anche vero che una delle frasi che dovremo appendere in ogni ufficio è quella del famigerato contrarian Bob Hoffman:
The point is this: our brands are very important to us marketers and very unimportant to most consumers. Please read that again.
Marketers Are From Mars, Consumers Are From New Jersey
Ci complichiamo la vita molto di più di quanto dovremmo: perché per noi siamo importanti. Perché pensiamo di annoiare il nostro target e invece siamo noi a essere annoiati: potremmo replicare uno spot per tre anni e ricopiare pari pari il piano editoriale dell’anno scorso e avremmo gli stessi risultati.
Se capissimo davvero quanto poco contiamo per chi ci compra, avremmo bisogno di cure anti-depressive. Un grande consumatore di Coca-Cola (primo decile) compra sì e no dieci confezioni all’anno. Ci pensa dieci volte in un anno, venti se ci mettiamo anche quando le beve.
Ancora più bizzarro è quando ci fissiamo per i dettagli di oggetti che verranno intravisti di sfuggita, magari allargando e allungando la visione, nel tentativo di migliorarli, e di solito succede il contrario. Guardiamo, brieffiamo, facciamo meeting e riguardiamo banner, microvideo, post, pagine web che se tutto va bene verranno visualizzati per qualche (decimo di) secondo. Il miglior test sarebbe guardarli meno, al massimo per il tempo medio di visualizzazione che otterranno.
Scopriremmo che troppi messaggi uguale nessun messaggio: una lezione che ancora è più forte di noi. Scopriremmo anche che spesso le persone si comportano come scriveva Nassim Taleb:
If you have more than one reason to do something (choose a doctor or veterinarian, hire a gardener or an employee, marry a person, go on a trip), just don’t do it. It does not mean that one reason is better than two, just that by invoking more than one reason you are trying to convince yourself to do something. Obvious decisions (robust to error) require no more than a single reason.
Il problema non è solo di efficienza nel tempo che consumiamo, ma anche di efficacia: perché la ricerca del dettaglio poi spesso ci impedisce di staccarcene e vedere l’ovvio davanti ai nostri occhi. Che non è il banner che non funziona, ma il modello di business o il prodotto. Che non è la mano nello spot a influire nelle vendite, ma è quello yogurt che non piace.
Quelle user personas: bastano dieci dettagli azzeccati invece che 50 aleatori. Magari tre varianti di prodotto sono meglio di 20, non il contrario. Un paio di presenze social sono più che sufficienti. Dieci slide di strategia sono tipicamente meglio di venti. Il terzo reworking è solo un danno. Che quando diciamo “abbiamo tante cose da dire” forse non ne abbiamo nemmeno una significativa. Che se abbiamo creato un lead nurturing da cinquanta biforcazioni forse abbiamo qualche problema nel convincere le persone a comprarci.
Non voglio dare lezioni, come sempre. Scrivo queste cose perché sono stato il primo a farle. Però si dice che la guarigione inizia dalla consapevolezza. Chissà.
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a) il 20% b) il 10% c) il 5%
I link
Perché qualsiasi cosa ha una prova di 30 giorni? Il mio articolo (long form) per Link, altresì detto IL PEZZO
Sono online le registrazioni dell’evento Be Curious Be Innovative con il mio panel sul marketing che verrà.
Facciamo caso a come è vestito un attore negli spot, ma non a quello che dice: la riassume meglio Dissapore sul caso del formaggio e del lavoratore 365 giorni su 365
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quiz: b) 10% circa.