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In questa puntata inauguro una collaborazione con un nuovo sponsor, MailUp, con cui ho scritto una serie di articoli che saranno qui, ma anche sul loro blog e sulla loro newsletter.
Contenitori, rundle, app
Ci sono cose che non si estinguono mai. Mi piacerebbe avere il tempo (e quindi i soldi per non lavorare nel mentre) per ricostruire perché certe convinzioni, fissazioni e manie si sedimentano nelle persone*. Ho iniziato a rispondere alla domanda “dovrei fare una app?” a un Digital Update del 2012 in sede dell’allora Hagakure di Marco Massarotto (che saluto :). La domanda era allora molto intelligente, perspicace, e avveniristica. Nel 2021 purtroppo la domanda a volte ancora non viene nemmeno posta. Si parte dal contenitore, la app, e poi si riempie fino a che la scatola non è colma, e a volte (spesso direi) si va pure oltre. Una app può fare tutto, no? E quindi perché non farle fare tutto?
La app è un telecomando. Non per tutto serve un telecomando. Non tutti i telecomandi sono comprensibili. Per chiarire: un sito non è un telecomando, è una rete da pesca. Ma andiamo per ordine.
Sappiamo che l’unica vera barriera oggi è l’attenzione, e il ricordo del metodo, di “come posso fare per” tra le infinite modalità disponibili. Un esempio: nonostante sia Siri che Google consentano di chiedere direttamente “che canzone stiamo ascoltando” Shazam è ancora la prima opzione che ci viene in mente. Lo spazio mentale è l’unica cosa più cara dello spazio sull’home screen dello smartphone.
L’abitudine è uno dei modi più potenti di bucare l’attenzione nel lungo periodo. Lo è ahimé perché è anche uno dei metodi più difficili da perseguire. Il cliente e il brand che stabiliscono rapporti abitudinari sono fortezze inespugnabili. Sono quelle che il prof. Galloway chiama rundle, basati su abitudine e algoritmo. I brand che si sposano al consumatore hanno vantaggi rispetto a quelli che chiedono di fidanzarsi ogni volta che il cliente va a fare la spesa. Ma i matrimoni del marketing sono spesso di convenienza. Il modello di business segue il bisogno, anche se a volte avviene anche il contrario.
Siamo così abituati al contenitore, da preferire la comodità soddisfatta dal contenitore al bisogno originario. Esempio: chi è iscritto a Prime nemmeno googla per vedere se esiste offerta, fuori da Amazon. Ma nella maggior parte dei casi, il contenitore è qualcosa che facilita il matrimonio, che è segue naturalmente. È la casa. In molti casi il matrimonio fallisce, sia chiaro, avviene con tanti servizi di sottoscrizione, ed è normale. Il sentimento finisce, e la casa si vende. La app è il contenitore perfetto per i rundle.
La differenza tra app e telecomando fisico – un oggetto che sta scomparendo, almeno nella concezione che ne abbiamo noi della gen x – rispetto al rapporto continuativo, sta nella personalizzazione. La plastica non si deforma, Amazon e Tiktok sì. E perché si deformano? Per adattarsi alla nostra “mano”. Sono telecomandi su misura per quello che vogliamo fare, che imparano da soli attraverso i dati che raccolgono dall’uso (e non dai cookie dell’open web). I contenitori, le app, sono beni di lusso, che pochi si possono permettere. Tiktok è una stupefacente visione sul futuro (ne parlo nelle prossime newsletter).
Le domande che dobbiamo farci sono:
siamo in un campo da gioco in cui è davvero possibile sposarci con il cliente?
stiamo proponendo un’azione statisticamente sufficientemente ripetitiva per cui è possibile acquisire abbastanza dati da (e siamo in grado di) plasmare quel telecomando sulla base dei comportamenti dei singoli clienti?
abbiamo sufficienti risorse per convincere un numero sufficiente di persone a usarci come telecomando per quel bisogno?
il nostro prodotto/offerta/catalogo è sufficientemente flessibile (non tanto come Netflix, ma “abbastanza da”)?
Se le risposte a queste domande non sono affermative, non avete bisogno di un telecomando app, o non potete comunque permettervelo. Avrete bisogno di un sito, ovviamente, per farlo. Non di una app. È molto più efficiente avere una rete e andare dove ci sono i pesci, di essere trovabili su Google, per esempio, e di portarli fuori dai contenitori come Instagram. Di intercettare gli indecisi, le disperse, i poliamorosi, le traditrici seriali, quelli con interessi fuori dagli schemi.
Oppure di trasformarvi in un tasto di quel telecomando contenitore di lusso, con tutti i rischi che conseguono a dipendere da qualcun altro.
[sponsor]
Digitalizzazione, omnicanalità e centralità del cliente: i driver del Retail nel post-Covid.
Il Retail è forse il settore che è stato investito più fortemente dall’accelerazione digitale: l’omnicanalità è passata da argomento futuro a necessità impellente e le aziende hanno dovuto prendere atto da un giorno all’altro che il digitale non era più un’opzione futuribile.
Né i consumatori, né le imprese erano allo stesso punto di partenza e c’è chi ha dovuto accelerare e chi rincorrere, soprattutto sotto due aspetti: e-commerce e allocazione del budget in chiave digitale.
La pandemia ha fatto superare giocoforza ogni ritrosia: la spinta verso l’e-commerce è stata forte, ma sono mancati spesso i dovuti approfondimenti strategici e in molti casi si è assistito al semplice trasferimento dell’offerta dallo scaffale del negozio al catalogo online, con risultati non sempre efficaci. “Creo un negozio poi qualcuno verrà” non funziona sul digitale.
La sfida ora è duplice: creare la giusta sovrapposizione tra domanda e offerta ed essere esattamente dove vuole il cliente nell’attimo fuggente in cui esprime una necessità.
Vuoi saperne di più? Leggi il mio articolo sul blog di MailUp.
Quiz della settimana
Quante transazioni online sono state perse in Italia a marzo perché l’acquirente non riesce a autenticarsi (es. a inserire il codice che arriva con l’SMS)?
a) 14% b) 23% c) 42%
Segnalazioni varie
Oggi pomeriggio c’è questa cosa divertente: oggi pomeriggio alle 17.00 sono con Andrea Tracanzan (dir. mktg di Banca Etica) a parlare di Svuota il carrello e delle cattiverie del marketing su attiviamoenergiepositive.it
È online la diretta con Andrea Girolami su scrollinginfinito.it e Svuota Il Carrello, ma alla fine abbiamo parlato di format, media, influencer ed editoria.
Less is more: perché tagliare buona parte dei profili social è spesso meglio
FreelanceCamp sta organizzando una due giorni in campeggio, in Romagna
Un luungo e interessante post su come è cambiata la pubblicità e l’agenzia in 25 anni, raccontata da dentro da mizioblog
Sono usciti i prodotti “dell’anno” di “miglior prodotto Food”, pronti per essere messi nel carrello. I nomi sono i miei preferiti: “Succoso Zero”, “Spuntinelle”, “Rustic Alta (Pizza)”, e ovviamente l’immancabile ciotola compostabile di insalata.
Negoziantaxi
A volte il copy è tutto (grazie Giovanna)
That’s all folks!
Al solito: inoltra la mail, se ti è piaciuta.
In astinenza fino a venerdì prossimo? Ci sono le stories, quasi ogni giorno.
xxx, gluca
Quiz: c) 42%!
Se sei nuovə qui, sono Gianluca Diegoli e mi occupo di consulenza su strategia di marketing e di vendita digitale, (e)commerce e D2C.
Bocconiano anomalo, proud generation X member, smontatore di panacee.
le attività noiose diventano perversamente molto meno noiose se ci si concentra molto su di esse. — David Foster Wallace
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Ho scritto qualche libro, ma l’ultimo (Svuota il Carrello) è quello che mi rappresenta di più. Insegno in IULM e in Master.
Ho anche creato un mio corso online di marketing (e non di marketing online). Da qui c’è un 10% di sconto aggiuntivo.
Ho co-fondato Digital Update e con altre due tipe più smart di me ho avuto l’idea del primo FreelanceCamp.
Ho creato canvas e un manifesto per la trasformazione del marketing.
Questa newsletter è la sorella gemella del blog che scrivo dal 2004.
Questa newsletter non potrebbe esistere senza Readwise (da qui hai un mese di prova gratis) e senza Refind.