[È venerdì] 12 questioni digitali e no per piccole imprese
Da passare al vostro amico imprenditore
Come facciamo a spiegare il marketing e la trasformazione digitale ai piccoli e piccolissimi imprenditori, soprattutto quelli che si sono svegliati solo ora e come in Good Bye Lenin si sono trovati un mondo diverso improvvisamente? Sarà che cerchiamo da farlo inutilmente da troppo tempo e sono un po’ scoraggiato. Sarà che il marketer soprattutto se digitale viene visto come il protagonista di Better Call Saul. Ci riprovo con un semplice manifesto. Breve, inoltrabile, appendibile in ufficio.
Marketing è in estrema sintesi: a) farsi scoprire nel caos della comunicazione, b) farsi preferire agli altri che fanno le stesse cose c) farsi comprare facilmente. Ogni attività che non ha effetti in questi ambiti è attività a caso (digitale o no), non è marketing.
Oggi sono infiniti i momenti, i contenuti, le informazioni che possono far deviare un probabile consumatore da un acquisto. Il nostro compito è capire almeno quali sono i principali dieci momenti da controllare ossessivamente. Basta solo un anello rotto per rompere una catena.
Se non abbiamo mai chiesto a un cliente perché viene in store, ci compra online e nemmeno osservato i suoi dati, allora del cliente non sappiamo niente, solo aneddoti coloriti privi di affidabilità. Se non abbiamo idea di chi sia il cliente, non sappiamo qual è il target. Se non sappiamo chi è il target, non stiamo sicuramente facendo buon marketing. Siamo come un macellaio smemorato che non riconosce i filetti preferiti dai clienti abituali.
“I clienti ci adorano, ci sono fedeli”. Tutte sciocchezze: partiamo sempre dalla considerazione che siamo sempre e comunque estremamente trascurabili per il cliente; noi pensiamo 24 ore al nostro prodotto, lui forse 24 minuti in un anno. Ogni contatto è prezioso, potrebbe non ripetersi. Controlliamo ossessivamente punti di contatto in ingresso (chat, email) e uscita (recensioni, ecc.)?
Non c’è miglioramento (della esperienza) del sito che possa influire sulla motivazione del cliente a comprare. Rifare il sito spesso non cambia nulla se non il conto corrente. Prodotti ambìti superano anche difficoltà di interfaccia, ma prodotti mediocri non saranno comprati solo in quanto facili – quello vale per i prodotti buoni sufficientemente. Ricordiamo che nessuno ha bisogno di un trapano, ma tutti di fare un buco nel muro.
Il sito (ma anche il profilo, la app, ecc.) non è una statua equestre alla nostra grandezza, ma ha in pratica la stessa funzione di un tizio che cerca di indovinare le risposte prima che i clienti le facciano – sembra banale, ma quasi mai lo è. Proviamo a leggere 10 secondi (non uno in più) del nuovo sito e vedere cosa ricordiamo. Ecco fatto un test di come ci vede e ci ricorda il cliente. Naturalmente da smartphone medio.
Non sempre mantenere il cliente esistente costa meno (o rende di più) di procurarsene uno nuovo, ma nel dubbio partiamo dal primo a valutare statisticamente in quale probabilità ci ricomprerebbe. Se non abbiamo dati affidabili sui clienti esistenti, poi non possiamo lamentarci dei dati di Facebook o di Google, quelli sono un extra. E se non sappiamo quanto vale un cliente nel tempo, come facciamo a sapere quanto siamo disposti a pagare Google e Facebook per portarcene di nuovi?
Decidiamo il prima possibile se possiamo e vogliamo creare o no contenuti utili, cioè non commerciali. Ogni risposta incerta tra il sì e il no è una perdita di tempo e soldi. Creare contenuti non è obbligatorio, e continuare a smerciare post autoreferenziali a quei 500 follower triti e ritriti è inutile e inefficiente, come inviare newsletter che nessuno apre o blog che nessuno trova. Predicare solo ai convertiti non aumenta il numero di fedeli, solitamente, soprattutto se il sermone non è un granché.
È facile: Google ci dice cosa cercano le persone, e se riusciamo a rispondere a metà delle domande/ricerche con pagine specifiche del nostro sito, siamo a metà dell’opera. Nota: le persone sono le stesse che stanno sui social.
Una presenza digitale non è un negozio, l’abusata metafora è molto pericolosa: nel secondo con l’affitto paghiamo anche per il traffico pedonale, nel primo il traffico è a nostro carico. Tutto. Investiamo sul costo di ogni nuovo pedone digitale tramite ads finché il margine è accettabile.
La reputazione, la memorabilità del marchio e il contatto consensuale con il cliente (email, dati di acquisto, dati concessi, ecc.) sono le uniche cose che resistono al tempo, al cambiamento, all’innovazione di strumenti e piattaforme. Come le nostre azioni influiscono su di essi?
Il passaparola sarà sempre il primo e più importante strumento di business - soprattutto nell’era mobile. Ma non è una strategia, è un dato di fatto. Come le persone si passano le informazioni su di noi? Come possiamo fare in modo da accelerarle o almeno non farle spegnere?
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Con Giorgio Soffiato abbiamo pensato a un esperimento, chiamato in codice Marketing Xchange. Due ore a tu per tu con un marketing manager o un imprenditore, per fare assieme un brainstorming aka serious game sulla strategia e trasformazione digitale dell’azienda. È gratis, ci si candida qui.
Purpose marketing
That’s all folks!
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Ciao, ci si risente venerdì, puntuali.
gluca <3
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