C’è una sponsorizzata di San Valentino che mi avete segnalato di frequente in questa settimana, quella di un master in digital col claim “trova l’amore durante il master”. Comincio a pensare che alla fine il cringe funziona.
Il brand del noleggio a lungo termine alla fine ha deciso di portarmi l’auto a casa. Il suo CRM continua a dirmi di andare a prenderla a Cesena. Il customer care mi ha detto di ignorare il CRM.
Ho avuto accesso a Bing-Edge modificato da ChatGPT: è abbastanza intelligente, ma l’interfaccia così com’è diventa un po’ un accrocchio. Non sarà facile capire la UX migliore per la prossima generazione di “motori di risposte”. Ma Bing può permettersi di rischiare, Google no.
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Buona la seconda?
“Conversational commerce” era una buzzword molto in voga fino a qualche anno fa. Se chiedo oggi a un chatbot attuale cos’è, mi risponde così:
Il commercio conversazionale è una combinazione tra app di messaggistica e pagamento online[1]. Si tratta di un modo per consentire ai clienti di contattare un'azienda attraverso il loro canale di messaggistica preferito e completare l'intero processo di acquisto[1]. Il commercio conversazionale semplifica l'esperienza di acquisto online e riduce i tempi di risposta del servizio clienti [1]. I vantaggi del commercio conversazionale includono interazioni veloci e personalizzate, maggiore coinvolgimento dei clienti, maggiore fidelizzazione della clientela, maggiore efficienza nella gestione dell'assistenza clienti e maggiore visibilità del marchio [2]. Il commercio conversazionale sta trasformando la “app di messaggistica” in qualcosa di molto più ampio rispetto al suo uso abituale [3]. Questo cambiamento consente ai consumatori di accedere a servizi come i concierge, che offrono un modo più veloce ed efficiente per fare acquisti online [3].
Questo in teoria. Il problema era che niente, in pratica, era vero. (E che ci può fornire qualche dubbio su ciò che le AI attuali considerano vero).
Nessuno ha usato Alexa per comprare qualcosa, e a buon senso c’era pure da aspettarselo, visto che gli esseri umani solitamente vogliono vedere qualcosa prima di spendere soldi. La difficoltà di intendersi con lo speaker ha fatto il resto.
I chatbot aziendali su Messenger – a parte i risponditori automatici – si sono estinti quasi subito. Utili per comunicare quelle quattro cose che anche i meno svegli avrebbero fatto comunque prima a cercare sul sito, per il resto veniva da prenderli a pugni, quei chatbot, avessero avuto un corpo.
L’umanità evidentemente fa già abbastanza fatica a farsi capire dai suoi simili per avere abbastanza pazienza per farsi intendere da queste macchine con cui conversare era peggio dell’esperienza di chiedere qualcosa a uno sportello di un’ASL.
Su Telegram i bot hanno avuto più successo, ma a parte che tra i nerd e i pornomani la diffusione è rimasta limitata.
C’erano poi le celebrate “AI” delle telco, con solitamente nomi e avatar femminili, a cui ti rivolgevi disperato per l’incomprensibilità del sito, loro gentilmente non capivano un accidente, ti volevano assolutamente far leggere delle FAQ che avevi già letto (ma perché non te le copia-incollavano loro, eddai!). Alla fine ti rimettevi in coda per il risponditore telefonico con la voce di Mina tra un “prema 3” e l’altro.
Qualcuno aveva provato a creare delle versioni conversazionali di simil-Booking & c. Anche quando (raramente) funzionavano, il valore vs costo non era chiarissimo, il modello di business pure.
Come in una Pompei post-eruzione, tutto è rimasto sepolto così fino a oggi. Damnatio memoriae, nessuno voleva dire di aver lavorato nel settore. “Conversational bot io? No, sviluppavo GIF animate al tempo”.
Dobbiamo dire che la situazione del dato era diversa al tempo: il privacygeddon non aveva ancora investito Meta e gli altri operatori del cookie, e quindi la profilazione attraverso dati propri – che poteva aggiungere valore a queste forme di conversazione – non era esattamente una priorità. (continua)
Questa settimana su LinkedIn ho lanciato un concorso per PMI e startup meritevoli, dando gratuitamente la possibilità di apparire qui, mandandomi un marketing plan in A4. Ne sono arrivati di molto interessanti, ma ne devo scegliere uno. Naturalmente non è un endorsement, è una pubblicità, anche se gratis.
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(continua) Quindi, gluca, perché mi fai perdere tempo sul conversational commerce, nel 2023?
Ho un’idea che mi frulla da sempre in testa; tutto l’ecommerce, da sempre, è basato su due pilastri: che il lavoro “del cliente” (metti nel carrello, ecc.) lo debba fare sempre il cliente, e che il lavoro “di trasporto” lo debba fare sempre il venditore. Abbiamo visto come il secondo non sia più vero da tempo: il click and collect in molti settori sta prendendo piede, per esempio al supermercato. Altre forme ibride come i locker o i punti di ritiro in tabaccheria sono ormai comuni.
Rimane il primo pilastro da abbattere: quasi ogni ecommerce oggi è una replica del self-service del supermercato, ma online. Rimangono fuori dal modello solo i piccoli store che vendono soprattutto attraverso la messaggistica diretta via social o via WhatsApp, esattamente come fanno nel mondo fisico, al bancone o in show room. Una modalità amata dalle clienti, un po’ meno dalla negoziante che la trova ovviamente non scalabile (uno sbatti). Figuriamoci Esselunga o Zalando.
Però, pensate per un attimo a spostare, tramite l’AI del 2023, lo sbatti di inserire nel carrello, cercare, sfogliare, ecc. e riavere la comodità del piccolo negozio con il pattern “mezzo chilo di pane” “quale?” “cosa avete?” “questo e questo, oggi in offerta”, con qualcuno o qualcosa che, semplicemente, capisce.
Ma c’è qualcosa in più da fare, sull’ecommerce, soprattutto nel grocery. Certo, c’è da migliorare l’accozzaglia di prodotti correlati a caso, i “ti potrebbero piacere anche” che sembrano forniti da un commesso ubriaco, e una ricerca interna che ti risponde con “Plasmon, I Paff dei Bambini carota e pomodoro 15 g” alla chiave di ricerca “biscotti”.
Vediamola radicalmente diversa: immaginate gluca che da bambino consegna un biglietto alla bottegaia, scritto male, e la bottegaia gli consegna due buste con la sua spesa. Immaginate gluca adulto che copia e incolla in un ChatGPT di Esselunga la lista della spesa, o una foto del biglietto sul frigo. O per il gluca nerd un collegamento con le API di Bring o condividendo il blocco note di Apple iOS.
Immaginate che Esselunga vi proponga la spesa a partire dal vostro scarabocchio, e voi dovete solo selezionare, confermare, eventualmente sostituire, Tinder-mode. Un minuto o due. Già immagino il disclaimer “i risultati potrebbero essere influenzati da promozioni dei nostri fornitori”.
Sostituire lo sbatti del cliente – in interfacce orribili, dobbiamo dirlo – con lo sbatti AI del venditore, è – prima o poi – il futuro dell’ecommerce.
La chat(bot) non è un punto di arrivo, forse solo un intermezzo, non un punto di arrivo: non è detto che vogliamo chattare. Men che meno comprare in un supermercato metaversico. Vogliamo risolvere. Risparmiare tempo con il massimo risultato. Sbattetevi un po’ voi. Usate l’AI per questo. Sono convinto che le persone concederebbero i dati necessari per farlo.
Data-driven quote
La confluenza tra marketing, dati e stack martech è la mia passione e lavoro attuale, in attesa che il corso di scrittura creativa mi renda uno scrittore milionario. Ho deciso che ogni settimana metterò un estratto dalle mie letture.
Il quiz della settimana
Qual è l’andamento previsto del mercato mondiale dei sex toys tra il 2022 e il 2030?
a) +22% b) +52% c) +216%
Link della settimana
Gianluca (io) si racconta, “dal Frecciarossa a Facebook”, in un’intervista (grazie).
Di etica, marketing e AI, webinar gratuito a Digital Update con super ospiti.
That’s all folks!
Alla prossima settimana. Ah, se potete fate una donazione per le persone in Siria e Turchia. Su Facebook abbiamo raccolto un po’ di link fidati di ONG sul campo.
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ciao, gluca
Grazie a Daniela Bollini per avere corretto la bozza (eventuali typo sono miei, aggiunti dopo) e a Cristina Portolano per i separatori d’artista.
Quiz: c) +216% via Statista.