[È venerdì Spring Edition] Caffeina bulgara
Uscire dalla bolla per accorgersi che tutto è meno drammatico di così
Questa è una lettera del venerdì un po’ diversa dal solito. Vi sto scrivendo da Sofia, quella con l’accento sulla o. Mi piace prendermi queste pause in Paesi apparentemente improbabili (per cui risuonano gli inevitabili “cosa vai a fare in Bulgaria?” di amici e parenti) perché mi consentono di rimettere nella giusta prospettiva e scala le questioni che viste dagli schermi troppo a lungo rischiano di essere percepite come molto più rilevanti di quelle che sono.
Una volta ho scherzato con una persona mettendomi a cavallo di un confine, un piede a Nova Gorica e uno a Gorizia, dicendo che il mio piede sinistro non sapeva chi era Chiara Ferragni (o era Selvaggia Lucarelli? boh, avete capito il senso). Il brain rot scompare una volta che vai al mercato della frutta e verdura di Plovdiv in cui vedi le vere vite delle persone che fanno la spesa e di quelle che mettono in fila le melanzane, i flame e l’orrenda marea di razzismo e intolleranza dei social si dissolvono dalla tua mente guardando due tizi che fumano una sigaretta prima di andare a lavorare, prendendo un caffè dalla macchinetta automatica in strada a Burgas (ricordatevi questo particolare per dopo).
In più, andando in Paesi che hanno vissuto più di recente la dittatura e la scarsità, è più facile notare che spesso rischiamo di non vedere quanto di positivo è stato realizzato negli ultimi trent’anni. E ascoltare pronunciare dai local, con una certa assertività (e una certa esperienza, bisogna dire), che “nessun tiranno dura mai per sempre” è anche terapeutico.
Ma questa è pur sempre una newsletter di marketing. E quindi via con gli appunti dalla Bulgaria.
Uno. Non solo la demografia, la lingua, il genere, ma anche i confini nazionali sono sempre meno rilevanti nel definire le persone (il target!) e i mercati conseguenti: le linee di demarcazioni importanti sono quelle che separano le aree in cui vedi persone correre per strada (intendo correre per hobby, con scarpette e tutto il resto) e le zone dove non si corre se non perché si sta perdendo l’autobus. Oppure le zone, anche interne alle città, in cui il coso per asciugarsi le mani nei ristoranti è un vero e potente e futuribile Dyson originale, e quelle in cui è sostituito da un arnese che emette un alito di aria tiepida che sembra dover spirare da un momento all’altro.
Due. La Bulgaria è stata conquistata dal Billa. La catena austriaca della GDO che esisteva anche in Italia (o esiste ancora? non credo) è praticamente una monocultura. Che è anche comodo, in effetti. La concorrenza è sopravvalutata, ce lo dice la storia di internet. Preferiamo una comoda interfaccia unica e facile da capire e imparare. Curiosità per appassionati di naming: Billa deriva da Billiger Laden, vale a dire "negozio a basso costo".
Tre. In Bulgaria esiste una catena di ristoranti unica nel suo genere. Si chiama Happy ed è una specie di Roadhouse, se il Roadhouse cucinasse qualsiasi cosa, dalle zuppe al sushi, dalla griglia ai tortellini, dal poke alla piadina. Come se Old Wild West, La Piadineria, Pokescuse, Sushiko, Pizzikotto si fondessero. Il tutto ha poi un tocco di “Drive-in”, la trasmissione intendo, solo di recente bonificato dalla nemmeno troppo sottile sessualizzazione del personale. La cosa incredibile è come un menù composto davvero da centinaia di cose disparate possa essere servito in tempi così brevi, e con qualità più che accettabile per i presunti gusti difficili dell’italiano medio, che infatti compare nelle recensioni positive (anche se non resiste alla tentazione di dare suggerimenti sulla cottura, o sulla quantità di olio di oliva, ecc.). Io fossi un manager di una catena di queste manderei qualcuno a studiare.
Quattro. E veniamo alla questione distributori del caffè, automatici e all’aperto, appena riparati da minimali pensiline o protezioni di fattura spesso artigianale, che chiamerò macchinette. La Bulgaria è il regno delle macchinette del caffè espresso, quasi sempre di marchi italiani, molto spesso Lavazza, per qualche motivo che non sapremo mai, ma che per esperienza ha di solito molto a che fare con le relazioni personali della forza vendita e poco con il marketing. In Bulgaria le macchinette sono dunque onnipresenti, anche in località remote in angoli di strade deserte.









Che ci crediate o meno, il caffè non è male, direi migliore di tanti celebrati bar italiani per non parlare delle macchinette del vending aziendale, che spesso espellono un liquido imbevibile. Se poi teniamo conto del prezzo, be’, forse è il caffè con il rapporto qualità/prezzo migliore al mondo, venendo via a circa 50 centesimi di euro, a volte meno, a volte un pelo di più. Unica avvertenza, se pensate di approfittare di me come travel blogger: le macchine inseriscono molto zucchero di default, evidentemente rispecchiando il palato locale; per chi lo preferisce amaro è d’obbligo impostare lo zucchero a zero, altrimenti si rischia la mousse al caffè.
Ma da cosa deriva questa strana diffusione? Ho svolto uno dei miei accertamenti(R).
Ogni diffusione di fenomeni (di marketing, ma non solo) ha sempre tre tipologie di motivazioni: economiche, legali e cambio di abitudini. Qui secondo me ci stanno dentro tutte e tre. Il caffè ha goduto di una nuova e costantemente crescente domanda in Bulgaria (almeno un caffè cadauno al giorno, dicono i rilevamenti) che non poteva contare su di una rete capillare di bar come la conosciamo in Italia. Non ha senso aprire un locale solo per intercettare questa crescita del caffè, perché manca l’abitudine di andarci, al bar. Niente brioche, la colazione è rigorosamente e adorabilmente salata, e si va dalle specie di panetterie con il solo oblò sulla strada. Ma la gente vuole comunque il caffè, il bar all’italiana non serve, e allora che si fa? È il momento del vending. “Vending” è il termine tecnico con cui si indica la distribuzione automatica, ovvero tutta l'attività di vendita e somministrazione di prodotti alimentari e non, per mezzo di distributore automatico, dice Wikipedia.
Il vending è l’umile mulo del marketing e delle vendite. Di solito superredditizio e ultrasottovalutato e, quando la vendita riguarda il mero prodotto e basta, difficilmente battibile sul prezzo. In pratica, quando vogliamo solo un caffè e non un posto al caldo per sederci e fare due chiacchiere. Non dimenticate mai che le persone non sanno (o non vogliono confessare a sé stesse) cosa stanno acquistando davvero, e non saremo certo noi a ricordarglielo.
Dunque, in questo ambiente perfetto, cosa vuoi che sia un po’ di manutenzione (sono pur sempre all’esterno, in un Paese dal clima a volte impietoso) in cui il costo del lavoro è basso, rispetto alla possibilità, alla scommessa direi, di piazzare una macchinetta? Magari funziona, magari no. Se non funziona si sposta, si riprova da un’altra parte, magari solo dall’altro lato della strada e cambia tutto.
Il contesto legislativo locale ha certamente facilitato il fenomeno. Installare un distributore automatico è appunto molto più semplice (ed economico) che aprire un bar, in termini di permessi – sempre che servano. Le vending machine si possono incastrare ovunque (marciapiedi, stazioni, ospedali, uffici, sexy shop, asili, musei) e (ho cercato) senza troppe restrizioni. Anzi, di recente la normativa pare essere diventata ancor più permissiva. L’atteggiamento delle autorità verso la diffusione di macchine automatiche non è influenzato dalla lobby dei baristi, evidentemente.
In Bulgaria l’espresso al volo (che sarebbe fonte di orrore nella ex Jugoslavia, in cui è necessario sedersi per non essere presi per buzzurri) mi pare oggi un’abitudine diffusa. Un po’ New York, in fondo, ma in cirillico.
Ma c’è secondo me un ulteriore motivo. Nei bar è vietato fumare, al chiuso perlomeno. E invece la persona bulgara deve avere le sue sigarette pronte e accese già al momento del caffè. La macchinetta open-air è il migliore dei mondi possibili.
Chissà se Lavazza ha studiato tutto questo con una profonda analisi etnografica o, come avviene spesso, il tutto sia frutto di intuito, tempismo e una buona dose di fortuna.
Ah! Manca meno di una settimana all’uscita del mio nuovo libro. Mi raccomando, aiutatelo a scalare la classifica: è l’unico libro che fa debunking agli altri libri presenti nella stessa classifica. O almeno aiutatelo a superare un libro sull’armocromia.
Questa settimana è finito anche nella “Lettura” del Corriere della Sera.
Nel frattempo è anche uscita una nuova edizione economica, riveduta e corretta di Svuota il Carrello: oggi è disponibile in versione tascabile, a un prezzo mai visto prima.
Grazie di leggermi, come al solito, e un buon non-sobrio 25 aprile.
Ci vediamo venerdì prossimo.
gluca
Grazie per la solita preziosa revisione a Daniela Bollini.
Parlando di macchinette del caffè all'estero, ho appena scoperto che nelle scuole superiori Australiane non ne hanno nessuna. Incredibile.