Mi chiedo spesso chi legga giornali online come E*g*ge e altri fotocopia. Ma ingenuamente, perché so benissimo chi li legge: gli stessi che sono riusciti a pubblicare pagando (direttamente o indirettamente, nel 99% dei casi) come articoli i propri comunicati stampa (il resto sono spesso articoli tradotti e incentivati dai top vendor). E i loro concorrenti di agenzia, che pensano “accipicchia, guarda, l'hanno fatto di nuovo, ricordiamoci di farne uno anche noi”, ben sapendo che tutto quello che c'è dentro è semplicemente l'oste che si autocelebra, facendo una tara del 90% delle affermazioni. Anche quando sono vere, peraltro.
La campagna è sempre un successo strepitoso, le agenzie continuano ad assumere (siamo arrivati a pubblicare anche l'assunzione di junior) e a crescere “a doppia cifra”, senza che nessuno faccia mai una domanda non dico scomoda, ma almeno intelligente.
Ne rimane fuori chi dovrebbe essere il target della comunicazione, che ormai non legge più quasi niente della stampa b2b: il marketing manager e il digital marketing manager, che non ci trovano quasi mai niente di utile, obiettivo e indipendente. Chiedete a caso, e vedrete quanti di loro leggono quella roba, salvo quando la
loro campagna è trattata nel comunicato articolo celebrativo, e spesso per ordine dall'alto in azienda/agenzia. Non è così in tutti i settori: per esempio nel retail ci sono testate interessanti, ovviamente più o meno compiacenti. Ma almeno all'interno c'è qualche dato, esperienza, e critica utile.
RetailWatch, per esempio.
La settoriale digital non è più giornalismo, posto che lo sia mai stata, e ok. Ma non è più nemmeno pubblicità, che pure presuppone un minimo di credibilità. È un modello di business editoriale che per sopravvivere si fa pagare sia la pubblicità che il contenuto, a spese della propria reputazione. È chiaro che finché qualcuno regge il gioco e ha soldi da -b-u-t-t-a-r-e- spendere, si va avanti così a fingere che il re non sia nudo. Ma fino a quando? È un vero peccato, perché in UK, per esempio, esistono magazine seri in cui spesso ci sono opinioni serie e rant senza paura, che possono accendere lo scambio e la discussione. In Italia non rimane invece nessun posto in cui la comunità possa confrontarsi su basi serie, obiettive e aperte. Poi per forza che i digital manager si trovano a discutere in gruppi chiusi da qualche parte. Che tristezza.