[33 venerdì entrarono ecc.] Il cliente ha sempre ragione | DTC e Sottoscrizioni | Le rubriche solite
[33 venerdì entrarono ecc.] Il cliente ha sempre ragione | DTC e Sottoscrizioni | Le rubriche solite
di Gianluca Diegoli • Newsletter #33 • Visualizza online
Ciao, è la newsletter numero 33, ed è in buona salute. Se sei una delle quattro (su 4.000 ci sta) che ogni volta se ne vanno, ciao e grazie di essere comunque passata da qui.
IL CLIENTE HA SEMPRE RAGIONE?
Io credo che il cliente abbia sempre ragione anche quando non ce l’ha. Nel senso che dal suo punto di vista ha ragione, e dal nostro porta un’informazione (ha ragione) sullo stato del nostro marketing system (e se c’è).
Io credo che il cliente abbia sempre ragione anche quando non ce l’ha. Nel senso che dal suo punto di vista ha ragione, e dal nostro porta un’informazione sullo stato del nostro marketing system (se c’è). E analizzando la cosa strettamente dal punto di vista del marketing, ho distinto alcuni casi in un post sul blog.
SOTTOSCRIZIONI, DTC & ECOMMERCE
Ho sottoscrizioni attive per la carta igienica e tutto quello che riguarda la carta “casalinga”, fazzoletti da naso inclusi, che in questa settimana mi sono serviti davvero molto, dopo che ne avevo accumulato una scorta per almeno due anni di raffreddori. Ho sottoscrizioni per quanto riguarda il cibo per i gatti. Ho sottoscrizione per le capsule del caffè. Tutto il resto è digitale e/o informativo e/o strumento di lavoro: 1 euro per Repubblica alla settimana (in test), Netflix, Office, Prime, Instapaper, i vari cloud (vedi Lettera di venerdì scorso). Non così tanto, alla fine, nemmeno per me che sogno che qualcuno mi porti le cose che mi servono senza che io debba sapere che mi servono.
In Italia si iniziò a parlare di sottoscrizioni all'incirca dal mio libro Social Commerce di qualche anno fa: eravamo agli albori del modello di business applicato all'ecommerce, e sembrava che molti prodotti fossero lì lì per essere acquistati in questo modo, come sembrava – in una parabola parallela – che tutti noi ci saremmo liberati presto degli oggetti che usiamo poco (es. il tagliaerba) per passare al pay per use, e/o alla sharing economy di quartiere. Poco dei sogni etici della sharing economy del libro seminale What’s mine is yours si è davvero realizzato, almeno finora. Più che altro abbiamo trovato una modalità per trovare manodopera a basso costo (senza che questo sia un giudizio sull'opportunità o no di trovarlo).
Certo, la collaborazione digitale è ormai lo standard, condividiamo documenti, meeting, lavori, progetti senza vederci praticamente mai. Ma quando si tratta di condividere il tagliaerba qualcosa evidentemente scatta in noi. Sarà che andare dal vicino a chiedere il tagliaerba di quartiere ci pesa – la friction psicologica – sarà che ci affezioniamo ancora agli oggetti che possediamo – chiediamo più soldi per cederli di quelli che saremmo disposti a spendere per ricomprarli, un classico bias. Magari i millennial noleggeranno vestiti, auto e lavatrici (o useranno più probabilmente un servizio di sottoscrizione al bucato). Ma per il momento, non vedo questa grande spinta irresistibile. Forse perché siamo in Italia, e le cose arrivano in ritardo, rispetto alla Gran Bretagna, per esempio.
Probabilmente il candidato principale alla sottoscrizione dovrebbe essere il supermercato sotto casa, che conosce più o meno i tuoi gusti e i tuoi consumi: ma il retail non è certo un innovatore. “Finché la gente viene da noi, va tutto bene così”. Io sogno una specie di sottoscrizione ragionata dall'intelligenza artificiale che conosce i miei ritmi di consumo, associata alla follia di qualcuno di umano che faccia curation sorprendente, associato a un servizio di click & collect. “Gianluca, la tua spesa settimanale ti attende, con una sorpresa”. Non succederà presto, anche se ho messo alcuni di queste idee nel mio nuovo libro che uscirà tra poco, e che è prenotabile su Amazon (sembra che abbia scritto tutto questo per promuoverlo, in realtà mi è venuto in mente ora: “dove ho già scritto questa cosa?” Un auto-deja-vu. Sono una pippa nell'autopromozione).
Il problema delle sottoscrizioni è che devono ricalcare fedelmente le esigenze della vita delle persone, fornendo qualcosa di poco reperibile o aumentando il tempo libero, e farlo superando l'atavica diffidenza di lasciare un po’ andare il controllo degli acquisti, e al tempo stesso questa proposta di valore deve essere considerata sufficiente dal cliente per ripagarsi gli alti costi che tutto questo comporta. Una intersezione non scontata, anzi.
In futuro molta più parte del processo di acquisto sarà disintermediato, anche se forse non quanto sperano i profeti del Direct-to-Consumer, e i brand dovranno avere molto più contatto con il consumatore, sia che questo acquisti online che usando il retail fisico, perché i dati b2c saranno fondamentali per ottimizzare vendite e marketing, e non è possibile lasciarli tutti all'intermediario finale. Ma attenzione: anche l'intermediario finale si sta facendo brand, vedi la marca del distributore, accentrando quindi i dati. La sottoscrizione è una delle modalità per ottenere d2c e dati e un contatto stabile con il cliente, ma non è un fine, è un mezzo per servire al meglio un cliente più attento all'esperienza che al prodotto stesso.
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@gluca
risposta: 3€
OT
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Curato con passione da Gianluca Diegoli con Revue.
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